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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

14/04/2016.  BARLETTA - VINCENZO DE STEFANO, UN ARTISTA DEL NOVECENTO DA RISCOPRIRE. LE SUE OPERE A CORREDO DELLA CANTINA SPERIMENTALE DOCUMENTANO LO STRETTO CONNUBIO ESISTENTE FRA LA TRADIZIONE VITIVINICOLA DEL TERRITORIO ED IL REALISMO NELL'ARTE DELLA PITTURA .

La battaglia ingaggiata sui media dalla società civile di Barletta contro la chiusura della Cantina sperimentale lascia oggi alle cronache quella preziosa traccia d’arte firmata Vincenzo De Stefano. Il pittore barlettano (1861-1942) rievocato come riferimento artistico ed associato, proprio per questo motivo di superiore interesse culturale, da chi si è mobilitato in questa lotta (Comitato spontaneo cittadino, Comune, soggetti istituzionali) nello stretto connubio esistente tra difesa della vitivinicoltura di tradizione ed il patrimonio via via storicamente raccolto dall’ormai defunta struttura di ricerca.

Patrimonio culturale costituito dall’ingente “corpus” bibliografico articolato e raccolto in centinaia di volumi scientifici sulla materia enologica. Come pure nelle immagini dipinte dal De Stefano, a rappresentare le varietà dei vitigni autoctoni coltivati nei nostri territori. Immagini più volte passate e pubblicate dai vari organi di stampa e sul web nella tambureggiante campagna di stampa contro l’inevitabile (?) destino: immagini che sono apparse invero come vere fotografie per la precisione del tratto abbinata alla raffinatezza di un disegno “ad usum” prettamente scientifico, e come tale da enfatizzare sotto l’aspetto della precisione. Altro che photoshop! aggiungerei…

Se in fondo a questa penosa vicenda (che mostra tutta l’inadeguatezza di una certa politica nell’arco di almeno questi ultimi vent’anni) riesco infine a scorgere una luce di speranza per la nostra “identità culturale”, tale si deve al recupero della memoria di Vincenzo De Stefano.

Del quale tutti, più o meno i responsabili nei vari comunicati stampa e dichiarazioni di circostanza a sostegno della crociata anti-chiusura della Cantina sperimentale, hanno voluto scrivere il nome senza, al momento, curarsi di quanto, oltre al suo nome, abbia la sua opera, per quanto definibile provinciale nel suo più sano significato, contribuito alle fortune artistiche di Barletta. Chi è stato dunque Vincenzo De Stefano?

In ciò che state leggendo, ci metto anche stavolta del mio, perché di Vincenzo De Stefano ne ho familiare, diretta, affettuosa e precisa testimonianza da mio padre, Biagio Vinella (1911-1965). Perché ne fu allievo in gioventù, proprio nel periodo in cui il suo maestro era all’apice della popolarità ed il suo nome già occupava uno spazio ben preciso nell’orizzonte della pittura di quel Novecento barlettano ancora da esplorare criticamente. Ecco com’era De Stefano raccontato in alcune pagine del diario, tuttora inedito, di Biagio Vinella.

“Avevo meno di vent’anni e lavoravo da commesso nel negozio di dolciumi su corso Vittorio Emanuele, di fronte alla casa dov’era nato De Nittis. Ricordo (si era nel 1930) proprio in occasione del Natale dipinsi un paesaggio con case ed alberi coperti di neve dando a tutto l’insieme quell’atmosfera morbida che ben si addice al periodo natalizio. Il successo fu grandissimo e, più che ai prodotti esposti, il pubblico era attratto da questo paesaggio che tra le luci ed i vari dolciumi esposti sembrava veramente bello. Non solo, ma i barlettani mai avevano visto prima di allora vetrine così preparate.
Fu a causa di questo paesaggio che iniziai a prendere i primi contatti con il Prof. Vincenzo De Stefano, il quale, essendo frequentatore di tale negozio e assistendo alla preparazione di tale paesaggio, non lesinò di suggerimenti, e spontaneamente volle dipingere due figure che sulla strada coperta di neve si allontanano con un realismo sorprendente.
Da questi primi contatti con il Maestro venne spontaneo da parte mia il forte desiderio di apprendere ancora di più per conoscere più a fondo tutti i segreti della pittura, diventando non solo allievo prediletto ma addirittura un amico sincero ed inseparabile.
Assicurati da una reciproca stima, il caro indimenticabile don Vincenzo mi autorizzò a frequentare la sua casa che era messa in Via Nazareth, proprio di fronte alla Chiesa omonima.
Fu lui a pretendere che io provvedessi a farmi tutta l’attrezzatura necessaria al pittore come la cassetta (copia esatta della sua) e le spatole, che furono eseguite e copiate alla perfezione da quelle in suo possesso da un bravissimo artigiano meccanico locale.
La meraviglia e lo stupore che mi prese la prima volta che varcai la soglia del suo studio-salotto fu grandissima. E quanta timidezza vi era in me al cospetto di tanto Maestro che si rendeva molto simpatico per il suo buonumore avendo un temperamento che non esitai a definire stravagante.
Insomma don Vincenzo era un vero artista nel senso completo della parola, con i suoi lati belli e brutti, con la parola facile e tagliente, in special modo quando si trattava di commentare tutto ciò che riguardava la nostra Barletta, le sue persone e la sua vita.
Attraverso i suoi ragionamenti e commenti non ci volle molto a capire che don Vincenzo amava moltissimo questa nostra città che, a sentir lui, doveva sempre più progredire e rendersi sempre più bella e pulita. Lo stesso amore, la stessa passione – e perché no – gli stessi difetti e pregi del caro Maestro mi sono entrati nel sangue.
In casa De Stefano erano pure frequentatori il dott. Franco Cocchiarole e il dott. Michele Tarantino che abitavano nella stessa strada. Tutti e due dilettanti in pittura. Ed anche con questi non mancai di fare buona amicizia con entrambi. Erano gli anni ’30 e la vita in generale si svolgeva a Barletta calma e tranquilla”.

Nino Vinella
Giornalista
Barletta, 13 aprile 2016

PER SAPERNE DI PIU'...

PINACOTECA GIUSEPPE DE NITTIS, BARLETTA
Disegni, una scelta d'arte e di vita - 8/12/2009

La mostra si sofferma sulla pratica del disegno che ha accompagnato fino alla maturita' gli artisti Giuseppe Gabbiani, Vincenzo De Stefano e Raffaele Girondi. Tre personalita' diverse, ognuna con una propria distinta cifra stilistica, vite parallele ma distanti, che pure assorbirono i caratteri dell'humus locale fra la seconda meta' dell'800 e la prima del 900. Esposizione a cura di Emanuela Angiuli.

http://1995-2015.undo.net/it/mostra/96266

LA BIOGRAFIA

Protagonista anch’egli di una felice stagione “barlettana”, artista versatile, disegnatore raffinato e impeccabile, Vincenzo De Stefano (1861 – 1942) allievo del pittore Gian Battista Calò, studia all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove insegnano Domenico Morelli, Filippo Palizzi, Federico Maldarelli, Antonio Licata. Passa a Roma dove frequenta la Scuola del Nudo. Esordisce alla Promotrice di Belle Arti “Salvator Rosa” di Napoli nel 1882, nell’85 alla Promotrice di Roma. Nel 1894 è a Milano, all’Esposizione Triennale della Reale Accademia di Belle Arti di Brera. Significativi i lavori dedicati alla realtà popolare, da cui si ricava il forte influsso subito dall’artista già durante il periodo degli studi a Napoli, dal filone “orientalista”, verso cui si volgono Michele Cammarano, lo stesso Morelli e Francesco Paolo Michetti. L’artista barlettano sembra percepire quello “scivolare di tutto l’ambiente napoletano, verso e dopo l’Ottanta, dalla lucida e appassionata ricerca del ‘vero’ ai facili approdi di un verismo di folklore”. Un esempio è la piccola Popolana napoletana in cui evidenti sono i richiami al mondo contadino campano e abruzzese, lo stesso descritto insistentemente da Michetti. L’attaccamento verso quell’universo matura ulteriormente in età adulta, quando De Stefano realizza il pastello Ritratto di donna, in cui la figura indossa il caratteristico copricapo bianco, elemento che contraddistingue anche le donne raffigurate in dipinti di poco anteriori dai francesi Paul Delaroche e Jean-Claude Bonnefond, accomunati dalla stessa attenzione “pittoresca” per le popolane romane. A prova della inclinazione verso il mondo popolare e la curiosità per la cultura orientale, i quattordici acquerelli di “costumi” che rimandano alla produzione di Ernest Hébert operante a Roma dal 1867 nella direzione dell’Accademia di Francia. “Solitario sognatore, amante appassionato della natura, asceta roso da un’idea, divorato dall’ardore di una fede incrollabile, fede purissima nell’arte dei colori”





 

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