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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

17/10/2006.  CHIESA - DOCUMENTO DELLA CEI SU ISTRUZIONE E FORMAZIONE.

Da Giovanni Patruno, attivissimo abituale corrispondente da Milano ed osservatorio sulla rete per la comunicazione in materia, riceviamo e volentieri diffondiamo il documento della CEI "per un Sistema Educativo di Istruzione e Formazione", a cui faranno seguito altre notizie attinenti recepite sempre dalla medesima fonte.

Una domanda: c'é posto anche da noi per una cultura della Cultura? Il forum é aperto a tutti.

La Redazione di Pro Canne News


PER UN SISTEMA EDUCATIVO
DI ISTRUZIONE E DI FORMAZIONE

in risposta alle domande dei giovani, delle famiglie e della società


Sussidio pastorale

INTRODUZIONE

1. Lo scenario dal quale prendono le mosse le riflessioni contenute in questo sussidio è costituito dalla diffusa consapevolezza che la qualificazione del sistema educativo di istruzione e di formazione è un fattore sempre più decisivo non solo ai fini della crescita e della valorizzazione della personalità dei giovani, ma anche dello sviluppo complessivo del Paese. L’attuale fase di transizione europea e mondiale è contrassegnata dal ruolo cruciale che, nella organizzazione sociale, vanno assumendo i processi di apprendimento come strumento di crescita personale e collettiva. Nella cosiddetta “società della conoscenza”, la riforma dei sistemi educativi di istruzione e di formazione assume una particolare rilevanza. La qualificazione e il potenziamento di questo settore, infatti, sono avvertiti come un punto chiave al centro dell’intreccio che collega le politiche sociali (i nuovi sistemi di welfare), quelle istituzionali (l’autonomia e il decentramento), quelle economiche (competitività) e del lavoro (produttività). Ai processi di apprendimento si guarda come ad uno strumento prioritario di crescita dello sviluppo personale e, grazie a questo, sia della occupabilità sia della coesione sociale e della cittadinanza attiva. Si delinea un quadro culturale, sociale, economico, istituzionale tale da imporre una profonda ridefinizione e innovazione di ciò che viene inteso come educazione, diritti dei cittadini, libertà di scelta educativa, istruzione e formazione professionale, competenza, istituzioni formative.

2. Il presente sussidio intende segnalare all’attenzione della comunità cristiana due punti chiave del processo di riforma avviato anche nel nostro Paese. Essi devono essere considerati nel loro insieme e nella loro relazione: l’autonomia e l’integrazione dei percorsi formativi.
Il primo punto è che il nostro sistema educativo di istruzione e di formazione è già stato profondamente trasformato da un processo di riforma a partire dall’entrata in vigore dell’autonomia e lo sarà ancora di più dall’introduzione delle ulteriori riforme costituzionali che sono all’ordine del giorno del dibattito attuale (modifica del Titolo V della Costituzione).
Il secondo riguarda il fatto che la scuola non può pensarsi al di fuori di un sistema formativo allargato e sempre più integrato. Infatti, è la complessità della vita sociale che richiede l’esistenza di un sistema graduale e continuo di formazione, interconnesso con il sistema, altrettanto graduale e continuo, dell’istruzione.
Riconoscere e armonizzare i percorsi educativi in una logica di convergenza e di integrazione significa non solo realizzare un sistema formativo integrato fra istruzione generale e formazione professionale, fra scuola statale e non statale, ma proporsi l’obiettivo comune di maturare insieme la persona, il cittadino e il lavoratore.
Si tratta, da parte della comunità cristiana, di acquisire un’ottica pastorale complessiva dei processi formativi e di farsi carico (secondo le diverse responsabilità dei pastori e dei laici) della loro progettazione e attuazione. È una responsabilità del discernimento ecclesiale comunitario non perdere mai di vista la crescita integrale, insieme critica e solidale, della persona così come anche il suo inserimento in modo attivo e flessibile nella società e nel mercato del lavoro che l’innovazione tecnologica ha prodotto. È molto importante che non manchi il contributo della comunità cristiana affinché sia garantita l’unità e l’equità del sistema pubblico dell’istruzione così come anche la sua aderenza alla personalità di ciascuno (i tassi di dispersione rimangono troppo elevati). Occorre inoltre che sia sostenuta la capacità del sistema pubblico dell’istruzione di interagire con l’evoluzione del sistema sociale e produttivo, superando le separazioni tra scuola e lavoro, tra scuola e formazione professionale, tra scuola statale e non statale. Si tratta anche di contribuire alla costruzione condivisa di un sistema educativo di istruzione e di formazione nello stesso tempo unitario ed espressione autentica dei diritti della società civile e delle sue articolazioni.

Le politiche educative e la conversione missionaria delle comunità cristiane

3. Così si esprimono gli orientamenti pastorali dei vescovi italiani: «Se comunicare il Vangelo è e resta il compito primario della Chiesa, guardando al prossimo decennio […] intravediamo alcune decisioni di fondo capaci di qualificare il nostro cammino ecclesiale. In particolare: dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione missionaria; fondare tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano; favorire, in definitiva, una più adeguata ed efficace comunicazione agli uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l’umanità intera» . La speranza, oggi, per i giovani del nostro Paese, si edifica in modo sempre più decisivo nei percorsi istruttivi e formativi che condizionano profondamente la crescita della persona e la sua compiuta e integrale maturazione. Mentre celebra i quarant’anni dalla conclusione del Concilio, la Chiesa italiana vuole riprendere gli intenti e lo slancio per annunciare il Vangelo della speranza. In questo orizzonte si colloca anche il IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”.
I temi dell’istruzione, della valenza educativa dell’istruzione, della cultura del lavoro, della formazione professionale, del rapporto tra istruzione e formazione sono strategici. Una missionarietà alimentata dalla speranza non può non condividere e farsi carico con responsabilità delle prospettive della formazione delle giovani generazioni essenziali per lo sviluppo del Paese.

Un impegno congiunto della pastorale della scuola e della pastorale dei problemi sociali e il lavoro

4. Il cammino innovativo delle riforme, basato sull’autonomia e sull’integrazione dei percorsi dell’istruzione e della formazione, costituisce per la comunità cristiana quasi un appello da riconoscere e un impegno da assumere con una mobilitazione proporzionata all’importanza della sfida. La novità è costituita dal fatto che occorre attualizzare e tradurre, rielaborandoli, principi che per il laicato cattolico rimandano tanto al magistero sull’educazione e sulla scuola (a partire dalla Gravissimum Educationis) quanto a quello sui problemi sociali e sul lavoro contenuti nella Dottrina sociale della Chiesa. La riforma dei processi formativi, infatti, intreccia questioni essenziali riguardanti le competenze dei soggetti implicati, la democraticità delle decisioni, la sussidiarietà orizzontale e verticale (Stato, Regioni, Comuni, istituzioni scolastiche autonome), l’interconnessione tra processi produttivi e formativi, le politiche della qualità e quelle dell’integrazione sociale. È la condizione giovanile, cioè la progettualità personale e professionale dei giovani, che va posta al centro dell’attenzione ecclesiale e quindi considerata come questione cruciale nel dibattito attuale sulle riforme dei percorsi formativi. Sul versante pastorale, l’avvio di un adeguato discernimento comunitario sul tema dei processi formativi e della loro integrazione non può essere affrontato se non si avvia una riflessione congiunta più convinta e vigorosa, anche a livello locale, sia da parte della pastorale della scuola sia della pastorale dei problemi sociali e il lavoro.
5. Questo testo è espressione di un intento comune dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università e dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro: un cammino condiviso con le associazioni, i movimenti e i gruppi ecclesiali e di ispirazione cristiana che rappresentano i docenti (AIMC, Diesse, UCIIM), i genitori (AGe, AGeSC, FAES), gli studenti (MSAC, GS, MSC), i dirigenti (DISAL), il mondo della scuola cattolica (FIDAE, FISM, FOE) e il mondo della formazione professionale, che ha in FORMA l’associazione di riferimento.
Intende essere uno strumento per orientare i due settori pastorali a proporre insieme una riflessione idonea e ad attuare le conseguenti iniziative di sensibilizzazione della comunità cristiana. In questo senso si tratta anche di un richiamo ai cattolici singoli e associati, tanto a quelli operanti nel settore formativo, sociale e del lavoro, quanto a quelli impegnati a vario titolo nelle comunità cristiane, alle ragioni del camminare insieme.
Se compete ai pastori la segnalazione delle questioni e dei problemi emergenti soprattutto sotto il profilo morale, sociale, spirituale e il suggerimento dell’ispirazione cristiana per la soluzione dei medesimi, spetta ai laici non far mancare al discernimento comunitario lo studio, l’approfondimento scientifico e la traduzione nel contesto vitale secondo il compito che è loro “specifico” e “proprio”. In questo campo dell’istruzione e della formazione i due Uffici nazionali della CEI hanno ritenuto di dover offrire ai rispettivi settori e ai laici singoli e associati in essi operanti un sussidio utile per il discernimento pastorale. Si tratta dunque di uno strumento che viene offerto anzitutto ai responsabili diocesani e regionali degli uffici di pastorale dell’educazione e della scuola e di quelli della pastorale dei problemi sociali e il lavoro, affinché possano orientare e far convergere le scelte del laicato competente e in linea generale della comunità cristiana.
È una riflessione che auspichiamo possa essere oggetto di attenzione da parte delle competenti autorità scolastiche e formative (Ministero della Pubblica istruzione e Ministero del Lavoro, Direzioni scolastiche regionali, Regioni), delle forze culturali e di quelle politiche e parlamentari.

PARTE I
Necessità di una politica educativa di grande respiro

6. L’intensa stagione riformatrice che ha interessato da almeno un decennio il sistema educativo italiano nel suo complesso delinea un quadro culturale, sociale, economico, istituzionale tale da richiedere incisive innovazioni. Il piano adeguato nel quale collocare tali questioni non è né quello ideologico né quello corporativo, interessato esclusivamente al destino di una o dell’altra componente del sistema, e neppure quello limitato all’ingegneria istituzionale. La prospettiva corretta cui fare riferimento è quella educativa dello sviluppo della personalità da considerare nel quadro delle esigenze della cosiddetta “società cognitiva”.

“Società cognitiva” e nuovi rapporti tra istituzioni e società: il principio guida è la persona

7. La “società cognitiva”, caratterizzata dall'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione, dallo sviluppo scientifico e tecnico e dalla mondializzazione dell’economia, è chiamata a incamminarsi rapidamente verso nuovi traguardi sociali, ridisegnando i rapporti tra istituzioni e società. I sistemi di nuovo welfare sono a questo proposito indicativi: rispetto a quelli usuali, essi devono oggi assicurare ai cittadini di una società complessa e globalizzata, ma anche frammentata e soggetta a forti tensioni, le condizioni reali di esercizio dei diritti che mirano alla piena realizzazione della personalità di ciascuno.

8. La realizzazione della società dell’innovazione e della conoscenza rappresenta per l’Europa una sfida di grande valore civile, su scala planetaria, un obiettivo strategico di grandi ambizioni. Nei programmi dell’Unione Europea si tratta di un obiettivo da raggiungere con una strategia centrata su tre pilastri: la competitività, la crescita economica e la coesione sociale. L’Unione europea sviluppa questa prospettiva concentrandosi sulle seguenti formule, che costituiscono il fondamento comune delle innovazioni legislative in tema di educazione e di politiche del lavoro:
- l’educazione e la formazione lungo tutto il corso della vita;
- la centralità dei diritti civili e sociali dei cittadini, nessuno escluso;
- la competitività nel quadro dell’economia mondiale globalizzata;
- l’autonomia e la libertà di educazione;
- la rilevanza dell’istruzione e della formazione professionale.
Questa prospettiva, sotto diversi aspetti troppo funzionale alle esigenze economiche, va fondata su di una solida visione personalistica e solidaristica.

Politiche educative e centralità della persona: compiti, criticità e resistenze

9. Auspichiamo che l’educazione della persona sia assunta come principio-guida della “società cognitiva”, come criterio positivo a cui tendere nel dare attuazione alle formule sopraindicate.

- L’educazione e la formazione lungo tutto il corso della vita. Indica l’acquisizione di un principio di educazione continua e permanente che supera la frattura tra scuola e lavoro, tra teoria e attività pratica, tra il momento della formazione e quello dell’azione. Ciò è tanto più significativo oggi di fronte alla rapida obsolescenza delle competenze personali e dell’analfabetismo di ritorno, fenomeni che erano assenti dalle riflessioni che hanno generato i sistemi educativi così come oggi li conosciamo. Non basta però ritenersi soddisfatti se aumentano gli anni di scuola, se diminuiscono gli abbandoni, se risulta incrementata la quantità delle qualifiche, dei diplomi e delle lauree. Occorre guardare alla qualità della cultura e dell’educazione complessive di chi apprende e di chi insegna. Se la paideia e l’impostazione culturale di fondo appare ancora connotata da una separazione tra il sapere da una parte, l’agire e il fare dall’altra, permane insuperato il vincolo di una separazione profonda tra scuola e lavoro, tra formazione iniziale e continua. Occorre riconoscere che sul piano culturale è diffusa una mentalità per cui non solo la scuola (il sapere), la fabbrica (il fare) e le relazioni sociali e politiche (l’agire) sono tra loro settori separati, ma sono anche, al loro interno, ulteriormente sottodistinti (parcellizzazione dei saperi, eccessivo peso delle discipline…). Anche sul piano istituzionale c’è una grande resistenza a promuovere una politica dell'educazione orientata a moltiplicare le istituzioni e i mezzi educativi, ad assicurare l'accesso più largo alle risorse formative, a diversificare le offerte educative accreditate nel modo più esteso possibile per cui, a parità di risultati, sia riconosciuta, in linea generale, l'eguaglianza di tutti i percorsi formativi, sia formali che informali, sia istituzionalizzati che non. La sfida che intende porre al centro i processi di apprendimento necessari ai fini della crescita personale di ciascuno e sociale ed economica per tutti, non si potrà mai vincere contando soltanto sul contributo delle strutture educative di istruzione e di formazione che promuovono gli apprendimenti formali. Nel campo delle politiche attive giovanili e del lavoro occorrerà guardare con attenzione alle reti (serali, in alternanza…) che vedono anche la corresponsabilità degli Enti locali, territoriali (Asl, comunità montane…), delle imprese, dei sindacati.

- La centralità del cittadino, della sua responsabilità e dei nuovi diritti civili e sociali. Rappresenta un principio che riscatta la persona a fronte di processi di omologazione e di sudditanza oltre che di inautenticità che si diffondono nelle società complesse. Propone soprattutto una nuova prospettiva all’educazione: offrire effettivamente lo spazio di una partecipazione attiva del soggetto e di una piena valorizzazione della dimensione intersoggettiva e comunitaria. Questo indica da un lato la necessità di riferire il processo di apprendimento alle reali potenzialità del singolo nel contesto delle comunità di appartenenza piuttosto che a standard freddi ed omologanti; dall’altro segnala la necessità di coniugare l’eguaglianza civile e politica dei cittadini con il rispetto dei loro particolari legami storici e religiosi. Anche se si considera il versante dello sviluppo del Paese, occorre ribadire che il capitale economico si regge sul capitale sociale il quale a sua volta si regge sul “capitale umano” personale. Lo sviluppo economico non può essere autoreferenziale. Ha sempre avuto e ha, anche oggi, bisogno di sviluppo sociale per alimentarsi. Ma quest’ultimo può attivarsi e consolidarsi solo dove esista sviluppo educativo e culturale personale. In questo senso il concetto di competenza assegnato come compito al sistema integrato di istruzione e di formazione può essere significativo e utile se viene da tutti assunto univocamente. Uno dei compiti più importanti e delicati sarà quello di garantire competenze essenziali per tutti e per ciascuno nel periodo delicato della formazione iniziale distinguendo, senza separare, i percorsi dell’offerta formativa.
Non va comunque sottaciuto un fenomeno inedito, ovvero una sorta di “resistenza all’apprendimento” da parte di una quota di popolazione (che alcune ricerche indicano almeno nel 12% dei giovani) che – al contrario del passato – può usufruire di servizi educativi, ma non trae da essi i benefici attesi, risultando per questo emarginata nel contesto civile e sociale. Ciò segnala ancor più una debolezza dei dispositivi educativi basati sull’idea del recupero cognitivo e richiede invece che vengano offerti nuovi modelli di tipo destrutturato in grado di promuovere il potenziale presente in questi giovani. Vanno, ad esempio, progettati percorsi graduali di integrazione sociale partendo dall’idea di lavoro desiderato e creando le occasioni per esercizi formativi realizzati, mediante l’assegnazione di compiti reali, in ambienti produttivi organizzati.

- La competitività nel contesto della globalizzazione. È più competitivo il paese in cui ogni persona trova il modo di esprimere un’eccellenza propria nell’impresa o nel settore in cui opera. Al centro di tutto, come si è detto, sta sempre la persona con le proprie capacità e competenze. Nella realtà sembrano acuirsi le fratture tra il livello personale e quello del sistema produttivo e ne emergono di nuove ancor più contraddittorie. Ad esempio, oggi, il tema della competitività assegna all’Europa, nel nuovo scenario del mercato mondiale globalizzato, un ruolo privilegiato nell’innovazione, nella ricerca applicata, nelle infrastrutture e nei supporti tecnologici, ma anche nella produzione di beni e di servizi a forte valore di senso nel campo del benessere o in quello della valorizzazione del patrimonio naturale e culturale. Invece nella cultura diffusa ed anche nella riflessione scientifica sembra affermarsi su questo punto una sorta di “imperativo tecnologico” che non pare peraltro in grado di trasformarsi in un ideale condiviso, se è vero che le giovani generazioni sembrano disdegnare, nelle scelte degli studi, le opzioni scientifiche e tecnologiche, preferendo indirizzi che enfatizzano le dimensioni della comunicazione e della qualità della vita. In questo modo si accentuano i fenomeni della precarietà e dell’incertezza circa le opportunità occupazionali reali.

- L’autonomia e la libertà di scelta educativa. La cultura dell’amministrazione scolastica rimane ancora “statocentrica” nonostante le legittime aperture innovative espresse in un decennio dalla riforma dell’autonomia, quelle che animano l’attuale dibattito sulla riscrittura del titolo V della Costituzione e quelle, in effetti, già sancite dalla Legge 18 ottobre 2001, n.3. Quest’ultima ha sanzionato il passaggio da un modello gerarchico e accentrato di governance, fondato sulle esclusive prerogative dello Stato, a uno poliarchico e decentrato che fa interagire in maniera integrata tre diverse competenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli Enti territoriali e quella delle istituzioni scolastiche autonome, ovviamente al servizio del diritto all’educazione dei giovani e delle famiglie e sulla base del principio di sussidiarietà. Naturalmente si dovrà fare attenzione perché tale passaggio non generi nuovi e gravi squilibri tra le diverse zone del Paese. Al di là delle inevitabili difficoltà dovute alla fase di avvio di tali innovazioni, si delinea l’esigenza di un’idea nuova di scuola, che si collega a quella suggerita dall’Unione Europea: una scuola intesa come ambiente aperto, per apprendimenti formali e non formali, che favorisce collaborazioni concrete tra istituti scolastici e il territorio, quali il volontariato, le associazioni dei genitori, le altre agenzie educative. In favore di questa “scuola aperta” a carattere policentrico molto possono fare le comunità cristiane in quanto anch’esse espressione della società civile, molto possono dare le associazioni culturali, sportive e ricreative, che già operano sul territorio con creatività e generosità. Il principio del rispetto delle scelte educative della famiglia, nel quadro di un sistema pubblico di istruzione e di formazione costituito da istituzioni statali e non statali, risponde all’applicazione del principio di sussidiarietà e di valorizzazione convergente e solidale delle formazioni sociali della società civile, ma trova difficoltà ad essere correttamente e diffusamente recepito dall’opinione pubblica ecclesiale e civile del nostro paese. Ne consegue che anche la “cooperazione dei genitori” in una prospettiva di “partnership educativa”, responsabilizzata sulle attività e i tempi scolastici, non riesce a superare il tradizionale “compito di rappresentanza”, finora sperimentato negli organi collegiali e ad arricchirsi ed integrarsi con spazi e momenti di “effettiva cooperazione e corresponsabilità” per un’offerta formativa che risulti suggestiva ed efficace.

- Rilevanza dell’istruzione tecnica e della formazione professionale. Risulta sempre più rilevante il ruolo dell’istruzione tecnica e della formazione professionale. Quest’ultima non va intesa come mero addestramento, ma come una leva privilegiata capace realmente di contribuire al consolidamento di una vera politica di integrazione sociale rivolta a tutti i cittadini. Non è più sostenibile nel sistema educativo la distinzione di ruoli e funzioni per cui la scuola dovrebbe concentrarsi sull’acquisizione di saperi in qualche misura astratti dal contesto, mentre spetterebbe alla formazione professionale di occuparsi della loro attualizzazione rispetto alle esigenze del mercato del lavoro. L’istruzione e la formazione connessa alle professioni qualificate e tecniche non rappresentano unicamente un segmento “terminale” del processo educativo, ma costituiscono esse stesse vie di pari dignità pedagogica in grado di soddisfare i requisiti del profilo educativo, culturale e professionale. Ma permane nella popolazione – ed è questo un fenomeno molto accentuato nel nostro Paese – un riflesso condizionato teso a gerarchizzare i percorsi formativi secondo un pregiudizio idealistico che fa coincidere la cultura con le discipline umanistiche e scientifiche, meno con quelle tecniche.
Come è noto, la riforma del Titolo V della Costituzione varata nel 2001, distingue tra “istruzione” a legislazione concorrente tra Stato e Regioni (salvo che per le “norme generali” e i “principi fondamentali” che restano alla legislazione esclusiva dello Stato) e “istruzione e formazione professionale” a legislazione esclusiva regionale (salvo che per i livelli essenziali di prestazione – LEP – che competono in via esclusiva allo Stato). Ciò che va evidenziato è che il dibattito sulla valorizzazione e promozione dei percorsi dell’”istruzione e formazione professionale”, specie nell’età della formazione iniziale (14-18 anni) è passato in secondo ordine rispetto a quello della qualificazione dell’istruzione liceale e universitaria. Permane la tendenza a “liceizzare” l’istruzione tecnica e professionale secondaria, mentre quella superiore viene “fagocitata” dai percorsi accademici offerti dall’università. Permane anche la tendenza delle politiche educative di separare nettamente i percorsi della formazione professionale regionale (riconducendoli ad essere, insieme all’apprendistato, momenti specifici di addestramento nelle politiche attive del lavoro) da quelli dell’istruzione obbligatoria specie nell’età cruciale della formazione iniziale (14-16 anni).

PARTE II
Per un sistema educativo di qualità. L’Italia nel contesto europeo

10. Nel marzo del 2000 il Consiglio europeo di Lisbona ha fissato un obiettivo strategico di grande ambizione: entro il 2010 l'Europa dovrà essere il sistema economico basato sulla conoscenza più competitivo e dinamico al mondo, per favorire una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Nel 2002, a Barcellona, questo obiettivo è stato ribadito pur in presenza di difficoltà nel giungere alla meta prefissata: è stato quindi individuato il nuovo obiettivo strategico di rendere, sempre per il 2010, i sistemi di istruzione e formazione dei Paesi dell'Unione un punto di riferimento qualitativo a livello mondiale, specificando i parametri da soddisfare pienamente:
- i tassi di dispersione scolastica nel complesso degli Stati membri si dovranno dimezzare rispetto a quelli rilevati nel 2000, per arrivare nel 2010 ad un valore medio UE non superiore al 10%;
- dovranno aumentare i laureati in discipline matematiche, tecnologiche e scientifiche e, soprattutto, dovrà essere dimezzata la disparità attuale fra i sessi;
- l'istruzione secondaria superiore dovrà essere stata completata da una quota non inferiore all'85% della popolazione 22enne;
- gli Stati membri dovranno dimezzare la percentuale di quindicenni con difficoltà nella lettura e nel confrontarsi con nozioni matematiche e scientifiche;
- infine, le attività di life long learning entro il 2010 dovranno interessare non meno del 12,5% in media della popolazione 25-64enne dell'intera Unione europea.
Si tratta di traguardi impegnativi, che impongono un rigoroso potenziamento dei sistemi formativi di buona parte dei Paesi dell'Unione, in particolare per quelli – come quello italiano – che lamentano un ritardo riformatore almeno di due generazioni.

I punti più critici del nostro sistema di istruzione e di formazione

11. L’Italia sta recuperando terreno rispetto al suo ritardo storico su alcuni punti importanti, come ad esempio l’aumento della propensione a proseguire negli studi secondari. Invece su altri aspetti la carenza permane: la dispersione, la debolezza del sistema di istruzione e formazione professionale, la distanza tra titoli e attività lavorative e professionali effettivamente svolte. Si registrano ulteriori difficoltà per quanto riguarda il livello medio di acquisizione di conoscenze e abilità linguistiche, matematiche e scientifiche.

Sette sono i punti del nostro sistema sui quali concentrare maggiormente l’impegno migliorativo:
a. la difficoltà a consentire una formazione culturale più elevata all’insieme della popolazione: questa presenta un livello di istruzione e di formazione (di tipo formale) mediamente molto inferiore rispetto a quello dei Paesi di riferimento: tra i nostri ventenni poco più del 65% possiede un diploma o una qualifica, mentre in Germania, Francia e Gran Bretagna questa percentuale sale all’85% e oltre.
b. La difficoltà a garantire il successo formativo alla popolazione iscritta nei percorsi di istruzione e universitari. Va ricordato che l’abbandono degli studi è uno dei segnali più critici della realtà italiana, che “spinge” i giovani alla scolarità secondaria, ma ne perde una parte rilevante nei primi due anni, in particolare negli Istituti tecnici e professionali (Rapporto del Gruppo Ristretto di lavoro, 2001, pp. 25-26). Si ricorda che il grado di dispersione universitaria supera il 53% degli iscritti, il dato di gran lunga peggiore di tutti i paesi dell’Unione Europea.
c. La difficoltà connessa agli apprendimenti: il secondo Progetto pilota sulla valutazione dell’istruzione conferma una crescente difficoltà di apprendimento degli studenti per ciò che riguarda la logica, la comprensione dei testi e la geometria: se nelle elementari gli esiti positivi dei test sono mediamente intorno al 70%, nella scuola media questi cominciano ad essere inferiori al 60% per crollare fino al 32% negli Istituti professionali. Le prime rielaborazioni dei dati PISA–OCSE su base regionale mettono in evidenza la rilevanza della variabile territoriale. È vero però che i dati diffusi dagli istituti di valutazione nazionali tendono a prospettare un miglioramento progressivo.
d. La difficoltà relativa al rapporto tra studio e attività professionale: le ricerche comparative evidenziano una decisa incoerenza tra percorso di studio e attività lavorativa successiva, visto che solo il 54% dei giovani dichiara tale coerenza, contro una media europea del 75% circa. Si tratta di un dato strutturale che delinea un’offerta tendenzialmente autoreferenziale, non intesa come “risposta” ai fabbisogni rilevati.
e. La difficoltà connessa alla efficienza: il sistema scolastico italiano presenta, rispetto ai Paesi di riferimento, i costi più elevati nel rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti.
f. La difficoltà originata da una realizzazione ancora molto formale della libertà di scelta educativa: nonostante la legge n.62/2000, la libertà di scelta educativa non ha trovato una attuazione soddisfacente nel nostro Paese. Il riconoscimento effettivo della parità sotto il profilo economico non è pienamente realizzato in nessun ordine e grado di scuola; anche se sono stati compiuti progressi nella scuola dell’infanzia e nella primaria, nella secondaria di 1° e di 2° grado permane la discriminazione a danno dei genitori che scelgono le scuole paritarie private e degli enti locali. Eppure la libertà di educazione non è un diritto né di una minoranza, né di una maggioranza, ma è un diritto di tutti.
g. La difficoltà riscontrata nel coinvolgere i genitori nella vita scolastica, per cui si conferma un distacco tra famiglia e scuola; ciò vanifica l’impegno formativo delle istituzioni e degli operatori, inducendo i fenomeni di abbandono e di insuccesso. Manca un’azione di sensibilizzazione nei riguardi delle famiglie, che sia condivisa da parte di tutte le agenzie formative del territorio. Si riscontrano pure resistenze culturali e sociali che non valorizzano opportunamente quanti già partecipano e non sostengono prontamente le reti associative desiderose di qualificare la partecipazione.

Alcuni punti chiave

12. Le prospettive sulle quali la comunità cristiana è invitata a riflettere per superare tale situazione critica sono le seguenti.
- È importante favorire il pluralismo dell’offerta formativa, la diversificazione e la personalizzazione dei percorsi formativi, superando l’illusione che l’istruzione obbligatoria possa da sola risolvere tutti i problemi sociali. Ciò porta alla tentazione anacronistica di percorsi omologanti per tutti fino ai 18 anni. Una soluzione di questo genere, intesa rigidamente, rischia di produrre più danni che vantaggi, confinando il sistema istruttivo in un’area indistinta tra assistenza e socializzazione giovanile ed impedendo di contro di valorizzare approcci diversificati ma di pari dignità, in grado quindi di incontrare meglio le variegate domande e culture della popolazione specie giovanile; se è educazione, la scuola non può essere rappresentata pressoché esclusivamente in termini di estensione dello Stato assistenziale, anche se essa non può sottrarsi alla responsabilità di contribuire al decondizionamento rispetto agli svantaggi economici, sociali, culturali.
- In un quadro di pluralismo di offerta, in una logica di pari dignità, è necessario un forte recupero della cultura del lavoro e della istruzione e formazione professionale entro il quadro dell’educazione permanente, avendo al centro il valore della crescita personale e della più ampia cornice di responsabilità educative da parte della comunità locale.
- Per le ragioni descritte sopra e per garantire il diritto all’istruzione uguale per tutti si richiede che il sistema di offerta formativa sia unitario e nel contempo flessibile e pluralistico. La flessibilità rappresenta la prospettiva di ogni strategia di servizio che intenda accompagnare i mutamenti piuttosto che tentare di ingabbiarli entro schemi rigidi. Occorre cercare di interpretare e integrare le prospettive dell’istruzione obbligatoria perseguendo un’idea che consenta a tutti di trovare entro una varietà di offerte di pari dignità le migliori risposte alle proprie esigenze. Questo passaggio è possibile se il processo di apprendimento viene costruito, sul piano ordinamentale, attraverso la ricerca di connessioni tra conoscenze, abilità e competenze, necessariamente contestualizzate secondo le diverse motivazioni, caratteristiche e intenzionalità degli studenti e delle loro famiglie.
- Per questo motivo è necessaria una maggiore autonomia delle istituzioni formative e una responsabilità primaria degli enti locali nella creazione di un’offerta formativa essenziale, di qualità, coerente con i livelli essenziali delle prestazioni previsti al fine di garantire i diritti civili e sociali dei cittadini su tutto il territorio nazionale.
- Infine si richiede il riconoscimento pieno della libertà di scelta educativa, senza del quale il pluralismo rimane necessariamente carente. La libertà di educazione, come libertà di scelta della scuola da frequentare, si fonda sul diritto di ogni persona a educarsi e a essere educata secondo le proprie convinzioni e sul correlativo diritto dei genitori di decidere dell'educazione e del genere d'istruzione da dare ai loro figli minori.
PARTE III
Sistema educativo e criteri di discernimento pastorale

13. Anche tenuto conto di quanto evidenziato, vogliamo richiamare i punti essenziali di attuazione di un autentico disegno riformatore, che corrispondono anche a dei criteri di discernimento pastorale per una adeguata informazione e formazione ecclesiale.

a. Centralità della persona e dell’educazione. Principio, soggetto, fine di tutte le istituzioni sociali è la naturale dignità, socialità, responsabilità di ogni persona umana . Essa è la fonte dei diritti, dei doveri e della partecipazione di ognuno alla società e quindi al conseguimento e alla fruizione del bene comune che va declinato e ordinato secondo i principi della partecipazione, della sussidiarietà e della solidarietà . Oggi questa centralità fondata sulla promozione integrale della persona dev’essere considerata con particolare attenzione da parte della comunità cristiana soprattutto con riguardo alle politiche educative che intendano autenticamente rinnovare il sistema di istruzione e di formazione. Essa, infatti, “… non è soltanto il primo valore ma anche, come insegna l’Enciclica Centesimus Annus (n. 32), «la principale risorsa dell’uomo» e «il fattore decisivo» dello sviluppo e della stessa produzione di beni. Assume pertanto importanza centrale l’educazione, che comprende l’istruzione intellettuale e la preparazione tecnica e operativa ma non si limita a queste, riguardando l’integralità della formazione della persona. In questo campo il nostro Paese è chiamato a intensificare il proprio impegno, che chiama in causa non solo le pubbliche autorità, la scuola e le altre «agenzie educative», ma anzitutto le famiglie e l’intera società civile” .

b. Il diritto dei cittadini alla scelta dell’istituzione formativa tra libertà ed equità. La libertà di scelta è un valore prioritario perché indica il completamento del disegno di democratizzazione della Repubblica riconoscendo in particolare il compito educativo delle famiglie e la corresponsabilità dei vari soggetti sociali nel favorire la piena realizzazione del progetto formativo di ciascun cittadino, nessuno escluso. La libertà di educazione, come libertà di scelta della scuola da frequentare, si fonda sul diritto di ogni persona ad educarsi e ad essere educata secondo le proprie convinzioni e sul correlativo diritto dei genitori di decidere dell'educazione e del genere d'istruzione da dare ai loro figli minori. La libertà di educazione è connessa strettamente con due principi pedagogici oggi particolarmente sottolineati e cioè che l'educando occupa il centro del sistema formativo e che l'autoformazione è la strategia principe del suo apprendimento. Nelle parole del Rapporto Faure del 1972 in cui l’Unesco ha proposto l’educazione permanente come l'idea madre delle politiche educative del futuro, tutto questo viene espresso dicendo che la scuola dell'avvenire deve fare dell'oggetto dell'educazione il soggetto della sua propria educazione.
La prioritaria responsabilità di scelta della famiglia rappresenta in questo contesto un elemento imprescindibile del nuovo disegno costituzionale; essa non può essere manipolata in base a questo o quell’indirizzo politico contingente delle istituzioni centrali o locali, né impoverita attraverso la discriminazione delle istituzioni formative accreditate a livello nazionale o presso le regioni come le istituzioni paritarie private o degli enti locali o come i centri di formazione professionale. Si tratta di principi da sempre affermati dalla Dottrina sociale della Chiesa , ma che hanno bisogno di essere collocati nel contesto della riforma auspicabile del sistema di istruzione e di formazione. L’affermazione del principio di libertà e di sussidiarietà educativa non significa liberalizzare in modo indiscriminato il mercato dell’istruzione, inseguendo magari modelli puramente aziendalistici. Non significa nemmeno sminuire il compito e il diritto-dovere dello Stato di aprire e di gestire scuole proprie. Significa, invece, dar vita a un sistema capace di valorizzare e armonizzare tutte le risorse educative della nostra società, facendole convergere nel contesto di un autentico servizio pubblico. Occorre promuovere il convincimento diffuso che il diritto allo studio per tutti non è salvaguardato dalla sola scuola di Stato, ma, da un lato, dal riconoscimento della pari dignità delle iniziative, anche gestionali, che nascono dalla società civile e, dall’altro lato, dal ruolo di garanzia e di controllo che lo Stato stesso si assume nei confronti del loro pubblico servizio.

c. Pluralismo formativo e valore educativo della formazione professionale. La formazione permanente e lo sviluppo integrale dell'uomo sono principi che richiedono il coinvolgimento lungo l'intero arco dell'esistenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di pari dignità formativa, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). Va affermato il valore del pluralismo formativo entro un sistema nel quale operano diversi soggetti di pari dignità (istituzioni scolastiche e istituzioni formative accreditate dalle Regioni), che concorrono a fornire ai destinatari, giovani e famiglie, titolari della scelta, percorsi differenti, e tuttavia coerenti con i livelli essenziali delle prestazioni definiti dall’autorità statale (caratteristiche dell’offerta formativa, orario minimo annuale, percorsi formativi, requisiti dei docenti, valutazione e certificazione delle competenze, strutture e relativi servizi). In tal modo si pongono in gioco tutti i talenti educativi presenti nella comunità sociale, con la loro ricchezza etica, culturale, professionale.
“La missionarietà della Chiesa si manifesta anche nella formazione professionale, momento di educazione al lavoro che non può prescindere dalla concezione cristiana dell’uomo e della storia. Il lavoro, infatti, è per l’uomo un momento fondamentale che gli consente non solo il dominio sulla natura, ma il completamento nel mondo dell’opera di Dio creatore, da viversi in profonda comunione con i fratelli nella fede e di universale solidarietà. In questa luce la formazione professionale permette a ciascuna persona di acquisire la preparazione culturale e tecnico-operativa, a seconda delle professionalità, per attuare il raccordo tra valori evangelici e cultura storicamente vissuta. La formazione professionale può divenire un momento di autentica ecclesialità, nel senso che persone e gruppi operanti hanno la possibilità, e quindi la gioia, di proporre il messaggio evangelico. Il dialogo e la solidarietà svilupperanno una particolare funzione laicale di raccordo sociale e culturale tra le condizioni diversificate degli utenti a cui ci si rivolge, e l’insegnamento della Chiesa” . Oggi questa prospettiva di promozione della formazione professionale iniziale va intesa non solo nella direzione delle politiche attive del lavoro e per la formazione di chi lavora, ma anche come elemento essenziale di formazione della personalità da riconoscere sia nei percorsi della formazione professionale iniziale (14-18 anni) sia in quelli della formazione permanente. È questa una prospettiva pastorale molto significativa per le comunità cristiane: «Alcuni aspetti dovranno soprattutto essere tenuti presenti: l'equilibrio tra formazione professionale e formazione umana, in una età ancora segnata dallo sviluppo; la necessità di una fondazione scientifica, culturale ed etica della formazione professionale; l'attenzione alle ricorrenti esigenze di "riconversione", tipiche di questo settore; la proposta di una "cultura del lavoro" che sappia riesprimere alla luce del vangelo la relazione dell'uomo con la macchina e la materia, nonché la problematica sociale e sindacale. A tal fine occorre che, anche in sede di riforma legislativa della scuola secondaria superiore, si assicuri tutela adeguata a Centri e servizi che hanno arricchito la nostra società e di cui il Paese ha tuttora bisogno» .

d. L’autonomia delle istituzioni formative. L’affermarsi della solidarietà rinvia a una impostazione della dinamica sociale a tre dimensioni che abbandoni la dicotomia stato/mercato, pubblico/privato e che riconosca e potenzi il terzo settore o privato sociale. Tale concezione corrisponde alla configurazione attuale della società che è caratterizzata dalla pretesa del minimo garantito dallo Stato, dalla voglia di mercato e dalla diffusione di attività solidaristica. Il terzo settore o privato sociale si definisce come il complesso delle attività di produzione di beni e servizi, create dall'iniziativa dei privati e condotte senza scopo di lucro, ma con finalità di servizio sociale. Nei suoi confronti il potere statale non può limitarsi solo ad ammetterne il contributo nell’ambito dei servizi sociali, ma dovrà perseguire una politica di promozione effettiva. In questo ambito assume una particolare rilevanza il principio di sussidiarietà . Esso va riscoperto secondo una duplice valenza: in senso verticale, nei rapporti fra enti territoriali di governo; in senso orizzontale, nei rapporti fra gruppi sociali e in quelli fra pubblico e privato.
Le istituzioni formative, anche in forma associata, sulla base di una conoscenza specifica del contesto di riferimento, debbono poter elaborare una proposta formativa comprendente sia i percorsi liceali sia quelli di istruzione e formazione professionale. L’autonomia delle istituzioni formative deve poter comprendere le dimensioni organizzative e formative, compresa la gestione delle risorse, anche quelle umane e finanziarie.
PARTE IV
Rinnovato impegno pastorale

14. Il cammino innovativo delle riforme che collocano il sistema educativo di istruzione e di formazione al centro dello sviluppo sociale, economico e produttivo del nostro Paese costituisce per la comunità cristiana un appello da riconoscere e un impegno da assumere. La possibilità che questo processo si basi effettivamente su principi capaci di coniugare la promozione della persona e l’equità sociale, l’autonomia e l’integrazione dei percorsi dell’istruzione e della formazione, il ruolo imprescindibile dello Stato e il rispetto dei diritti educativi inalienabili della società civile, dipende anche dal contributo consapevole dei cattolici italiani. Questo sussidio intende essere un invito pressante rivolto a quanti, singoli e associati, operano da cattolici nel campo educativo affinché trovino la forza di avviare quanto prima, presso gli organismi pastorali nazionali, regionali e diocesani un discernimento comunitario proporzionato all’importanza della posta in gioco. I gruppi, i movimenti e le associazioni laicali ecclesiali e di ispirazione cristiana, unitamente alle federazioni degli Enti gestori di scuole cattoliche e di centri di formazione, agli Istituti religiosi coinvolti nei rispettivi settori dell’istruzione e della formazione professionale hanno oggi la responsabilità di agire non più in ordine sparso, ma animati da una comune consapevolezza ecclesiale. Spetta ai responsabili regionali e diocesani di pastorale della scuola, dei problemi sociali e del lavoro predisporre le condizioni più favorevoli per il discernimento.

Avviare il discernimento regionale e promuovere reti collaborative tra percorsi liceali, tecnici, dell’istruzione e della formazione professionale

15. La riforma dei processi formativi, come abbiamo visto, intreccia questioni essenziali riguardanti le competenze dei soggetti implicati, la democraticità delle decisioni, la sussidiarietà orizzontale e verticale (Stato, Regioni, Comuni, istituzioni scolastiche autonome), l’interconnessione tra processi produttivi e formativi, le politiche della qualità e quelle dell’integrazione sociale. Occorre, pertanto, attualizzare e tradurre principi che per il laicato cattolico rimandano tanto al Magistero sull’educazione e sulla scuola (a partire dalla Gravissimum Educationis) quanto a quello sui problemi sociali e sul lavoro contenuti nella Dottrina sociale della Chiesa. Per questo motivo suggeriamo che, sulla base delle riflessioni contenute in questo sussidio, si avvii a livello regionale una fase di discernimento e si costituisca uno specifico gruppo di lavoro, promosso congiuntamente dagli incaricati/coordinatori regionali della pastorale della scuola e della pastorale per i problemi sociali e il lavoro e composto da persone in rappresentanza dei due settori pastorali e delle diocesi interessate. Del resto occorre prendere atto dell’accresciuta responsabilità e competenza delle Regioni e della Conferenza Stato-Regioni nella progettazione e nella realizzazione delle politiche educative e delle strategie che integrano istruzione e formazione.

16. La Chiesa in Italia ha manifestato da lungo tempo una particolare attenzione alle istituzioni che educano i giovani attraverso la cultura del lavoro, riconoscendo ad esse una funzione educativa e culturale che domanda molto impegno. L'ispirazione cristiana infatti richiede di non inserire nella formazione professionale procedimenti unicamente preoccupati di promuovere e di valutare le abilità tecniche, ma piuttosto di sviluppare l'attenzione alla totalità della persona umana. L'impegno della comunità ecclesiale deve quindi farsi ancora più attento, perché questi centri di ispirazione cristiana, secondo la loro lunga e collaudata esperienza, sempre meglio possano operare secondo un progetto educativo valido e chiaramente ispirato all'annuncio evangelico sull'uomo, sul lavoro, sull’economia.

17. La centralità della persona e la necessità di dare concreta attuazione a un ethos educativo che persegua il bene dei destinatari (giovani e famiglie) come criterio centrale dell’azione, dovrebbero favorire, nel territorio, l’avvio di intese e di reti collaborative tra licei, istituti tecnici, istituti di istruzione professionale e centri di formazione professionale nella forma di Campus o di Poli Formativi o di altre forme associative. Nell’ambito del progetto qualità avviato da FORMA, si è proceduto a monitorare le esperienze già avviate. Esse hanno riguardato i temi dell’orientamento, della gestione dei crediti e dei passaggi, della lotta alla dispersione, della gestione di sportelli occupazionali, della formazione del personale.
Gli Uffici pastorali a livello regionale e diocesano sono chiamati a informare adeguatamente le comunità cristiane e a sostenere questo lavoro di rete che salvaguarda l’apporto specifico degli enti e dei soggetti interagenti favorendo nel contempo un valido servizio alla persona.

La formazione professionale iniziale

18. Nel contesto odierno le motivazioni e gli orientamenti suggeriti dall’Episcopato sono ancora più raccomandabili e in linea con una tradizione storica della formazione professionale di ispirazione cristiana che, attraverso molteplici esperienze promosse da Istituti religiosi maschili e femminili, ne ha saputo sperimentare concreti modelli di attuazione e validi riferimenti pedagogici. Oggi la formazione professionale, intesa non come un addestramento finalizzato esclusivamente all'insegnamento di abilità manuali, ma come un principio educativo di formazione globale fondato sull'esperienza reale e sulla riflessione in ordine alla prassi, può essere pensata anche nell'età dello sviluppo come una specifica ed esaustiva proposta formativa che può rispondere agli standard e alle esigenze dell’istruzione obbligatoria giustamente richieste per il ciclo secondario.
Si tratta però di una sfida impegnativa perché condizionata da alcune questioni cruciali:
- l’assegnazione di risorse per una competenza che riguarda sotto diversi aspetti la responsabilità congiunta del Ministero dell’istruzione, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e delle Regioni a fronte di un impegno dei Centri di rispondere pienamente alle richieste dell’accreditamento;
- l’orientamento educativo dopo la scuola media inferiore allo scopo di superare il pregiudizio di tante famiglie che valuta la formazione professionale come un percorso integrativo o riabilitativo;
- l’adeguata informazione indirizzata alle autorità competenti (ma anche all’opinione pubblica ecclesiale e civile) circa il cammino di qualificazione effettuato negli ultimi anni dai centri di formazione aderenti a FORMA e confluito nell’attivazione di trienni sperimentali tuttora vigenti, ma vincolati da finanziamenti regionali (là dove si erogano) sempre meno consistenti e adeguati anche di fronte alle crescenti richieste delle famiglie.
Oggi, nella coscienza delle nostre comunità ecclesiali e della società civile, va maggiormente diffusa la consapevolezza delle qualità e delle caratteristiche del servizio offerto dai centri di formazione professionale.

CONCLUSIONE
Cercare il bene comune nell’interesse dei giovani e delle famiglie

19. L’idea di fondo sottostante l’intero processo riformatore dell’ultimo decennio risiede nel trinomio autonomia – pluralismo – società civile. Si tratta di un disegno di modernizzazione e di innovazione che mira a superare l’attuale rottura tra le “tre culture” (accademica, tecnico-scientifica e operativa), al recupero dell’apprendimento implicito (informale), al successo formativo per tutti, all’aumento di produttività, al coinvolgimento pieno della comunità locale nell’opera educativa. Dopo tanti tentativi e interruzioni, il processo riformatore così delineato nel corso degli ultimi dieci anni – e non un’“altra riforma” che finirebbe per consumare definitivamente le energie ancora vitali nel sistema – merita di essere considerato come il terreno adeguato sul quale unire le energie positive per dare una risposta ai problemi che investono l’educazione.
Lanciamo l’appello perché sul disegno complessivo di riforma si trovi un terreno utile a un’intesa che vada oltre gli schieramenti ideologici e si ponga l’obiettivo di un sistema educativo veramente di qualità. Si tratta di dare vita ad una riforma in continua trasformazione, capace di sviluppare i valori della tradizione e di accogliere le sollecitazioni che vengono dalla scuola, dal sistema produttivo e dalla società civile. Da qui si può partire per un patto bipartisan che coinvolga l’intera comunità su pochi ma veramente condivisi principi ispiratori di fondo.

20. Nel cammino della Chiesa italiana impegnata a rinnovarsi nella linea di una più incisiva comunicazione della fede, ciò che è all’orizzonte dell’impegno missionario che ci viene richiesto è il mondo stesso, lo spazio della vita ordinaria della gente, in cui immettere la potenza di novità insita nel Vangelo, per riscattare il tempo e lo spazio dai ripiegamenti e dalle amputazioni a cui oggi soggiacciono. Ma anche la cultura, il lavoro, l’economia, la produzione scientifica e tecnologica vanno alimentati dalla fede cristiana in quanto coinvolgono radicalmente l’uomo, tanto nella sua consistenza biologica quanto nella sua vocazione sociale e nella sua dignità trascendente.
Anche il campo delle politiche educative dell’istruzione e della formazione attende il contributo essenziale dei cattolici italiani, singoli e associati. Questa frontiera dell’evangelizzazione richiede l’intelligenza di una fede che nasce dalla conversione missionaria delle Chiese particolari. La presenza del Signore che accompagna ogni cristiano e tutta la Chiesa, ispiri il lavoro missionario delle diocesi e delle regioni. A rendere fruttuoso il cammino si confida possa contribuire il presente sussidio.

Roma, 26 luglio 2006
Memoria dei santi Gioacchino e Anna.





 

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