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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

10/10/2007.  STORIA E PIETRE - IL MENHIR DI CANNE DELLA BATTAGLIA.

Vorrei subito approfittare dell’ottimo spunto di Giuseppe Dimiccoli (“Il Nordbarese e l’Irlanda collegati dalle pietre” Gazzetta Nord Barese 3 ottobre) per occuparmi di quell’altra pietra megalitica (che bello poterlo dire in italiano e non in quell’inglese tipo “big stone”) chiamata menhir e che si trova da millenni conficcata nel territorio di Canne della Battaglia, a due passi dall’omonima masseria sulla strada provinciale 142 panoramica sui sepolcreti.
Il menhir di Canne ha sempre avuto una storia ufficialmente documentata e raccontata come pure abbastanza travagliata, anche per la “complicità” più contemporanea degli anglosassoni in genere. E mi limiterò qui a citare il più recente aneddoto riferitomi da Mimì Lomuscio, l’andriese ultimo casellante della stazioncina di Canne della Battaglia che dista pochi chilometri in linea d’aria da questo monumento. Con la sua memoria di ferro, Mimì ricorda che invece quella pietra si dimostrò addirittura e straordinariamente… d’acciaio quando, qualche mese dopo la Liberazione nel settembre 1943, un reparto di truppe inglesi venne qui da Barletta a bordo di una jeep come scorta ad un camion pieno di una mezza dozzina di operai barlettani. L’ordine era: rimuovere il menhir dal suolo, caricarlo su quello stesso camion e portarlo in Inghilterra chissà dove! “Ero bambino, ricorda Lomuscio, mi appostai dietro un basso muretto a confine della masseria e vidi tutta la scena. Agli operai venne detto di stringere il menhir con delle grosse funi di canapa, quelle delle navi, e di tirarlo giù, anche con l’aiuto meccanico del camion. Primo tentativo, niente. Niente nemmeno al secondo. Al terzo, le funi già tese si rompono, ed il mehir resta lì immobile, dritto come adesso!”.
A caccia di souvenir di cui fecero comunque razzia lì vicino (coi sepolcreti a pochi passi lasciati alla mercé di chiunque, come sta scritto nelle lettere dell’archivio comunale…), gli inglesi furono beffati dal fatto di non aver considerato che, alto più di due metri e mezzo, il menhir era stato conficcato nella terra almeno per altrettanto dagli antichi costruttori
Quella pietra megalitica tanto studiata come tantissimo vi è stato scritto fra storia e leggenda, significa per Canne una presenza dell’uomo che risale a millenni or sono: il mito vuole che questa pietre megalitiche, di cui è disseminata la Daunia altrove, fossero la zavorra delle navi su cui l’eroe Diomede tornava da Troia. Altri le mettono in diretta connessione con la volta celeste, di cui potrebbero rappresentare un termine di riferimento fra cielo e terra per le costellazioni, e via dicendo.
Oggi, il “titolone”, come viene popolarmente apostrofato il menhir dai contadini del luogo data la sua gigantesca somiglianza con il normale titolo di proprietà a confine tra terreni, rientra nelle mete visitabili di Canne della Battaglia. Ma oggi bisogna scoprirlo fra un olivo e l’altro, dopo la definitiva scomparsa della segnaletica giallo-nera apposta negli Anni Settanta dall’Azienda autonoma di soggiorno e turismo su segnalazione di Mons, Giuseppe D’Amato, che ne aveva scritto in un suo ormai introvabile volume su San Ruggiero.
Con l’avvento del Parco regionale dell’Ofanto, e le sue prescritte tutele a protezione di zone come questa nel suo perimetro, anche il menhir di Canne della Battaglia dovrà trovare (o ritrovare?) una propria valenza turistica e culturale. Mai come in questo, infatti, possiamo affermare che… le pietre parlano!

Nino Vinella
Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia



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