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Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

06/05/2009.  BARLETTA - "I PAESAGGI IN MOSTRA": SPLENDIDE OPERE OTTOCENTESCHE DA DE NITTIS A FATTORI, A CURA DI EMANUELA ANGIULI E TULLIOLA SPARAGNI.

La ragazza che Filippo Palizzi dipinse distesa su uno sperone alto di roccia a Sorrento non sta solo contemplando l’orizzonte marino. È persa nei suoi pensieri. Lo suggerisce una scritta nascosta dall’autore lungo il profilo della roccia, che è una dedica, o un ricordo amoroso, di un certo Fedele (di nome e di fatto). Sentimentale dunque, allusivamente narrativa, è questa idea di paesaggio proposta dal pittore napoletano nel bel mezzo dell’Ottocento. Narrazione che può farsi addirittura sinestesica, come pretende nella stessa sala di Palazzo della Marra a Barletta, la scena marinara di «Canzone nova con parole e musica» dipinta in colori zuccherosi e con pentagramma accluso su cartiglio, da Edoardo Dalbono. Era il 1885. Cioè quando in Francia, per dire, si era andati oltre l’Impressionismo, persino. 

Il panorama variegato di «paesaggi del Sud» fra Terra e Mare offerto con una novantina di opere dalla rassegna curata da Emanuela Angiuli e Tulliola Sparagni rinnova così molte riflessioni su sensi e percorsi del paesaggismo - naturalismo nella pittura meridionale. 

Aveva ragione Francesco Netti quando acutamente - e in tempo reale - segnalava la rivoluzione «democratica» di una generazione di pittori che avevano abbandonato il chiuso degli atelier e i temi storici, eroici, sacri, di genere, per interrogare la verità «schietta, innocente, senza malattia» della natura. La pittura come «finestra aperta sui campi». Ma aprire quella finestra non fu impresa facile. Ancora «dietro i vetri» è la contemplazione, seppure cristallina appunto, e di maestoso empito, che ne fa il siciliano Francesco Lojodice in opere fra le più significative in esposizione. 

A spalancare la finestra, far circolare l’aria e far vibrare la luce, era stato - fra i primi - Peppino De Nittis. Come si può vedere in ouverture di mostra dal quadro di inquadratura stretta e lunga, in cinemascope, «Sulle rive dell’Ofanto» (1867), prestigioso prestito da Palazzo Pitti. Del maestro barlettano sono opportunamente recuperate altre opere poco viste, o sacrificate nei depositi, ma di alto interesse. Anche per spiegare - come opportunamente fa in catalogo Tulliola Sparagni - che in verità gli artisti, dalla loro finestra, vedono quel che vogliono, o sanno vedere. La studiosa ricorda - citando Rosario Assunto - che sono gli strumenti dell’arte a determinare «la forma del paesaggio». E insomma, come diceva Focillon (ma prima ancora Oscar Wilde), «non è la natura che modella l’arte, ma è la natura modellata sull’arte». 

Sintomatico è il grande «Mare in burrasca» di De Nittis (1877-78). È un mare di impeto livido, sotto un cielo corrusco. Un mare «nordico», forse la Manica - ha suggerito Christine Farese Sperken - comunque un mare che non bagna Napoli: dialoga con la pittura contemporanea francese. È curioso come proprio il Mare non sia un tema molto sentito dagli artisti «mediterranei». Non mancano in mostra scene d’acqua, con effetti di tramonto o contemplazioni di bonaccia. O vedute dall’alto, come «Napoli dal Vomero» di Attilio Pratella. Ma il sentimento dominante è quello di un Sud terricolo, campestre, arboreo (ulivi in testa), e domestico. Un paesaggio antropico, segnato dal lavoro paziente. L’asinello di Palizzi sta «sulla porta di casa» e le sue capre sono ritratte come personaggi umani. Tema del lavoro che assume respiro epico, vigore di forme nei quadri di Giovanni Fattori («Buoi al carro - Il carro rosso» dalla Pinacoteca di Forlì, «Bovi al carro» da Pitti). Qui il grande protagonista della «macchia» toscana è assunto come polo di riferimento e di raffronto, più tematico che linguistico. 

Al «paesaggio umano» portano contributi di vibrato realismo opere dell’abruzzese Francesco Paolo Michetti (come «La nidiata») sfornate dal sorprendente tesoretto d’arte del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. 

Naturalmente il contributo dei pittori pugliesi si dispiega nelle diverse sezioni in cui si articola la rassegna. Un corpo consistente di quadri del barlettano Raffaele Girondi (che finì i suoi giorni, quasi sulle orme di De Nittis, a Parigi nel 1911), segnala una pittura di raccolto intimismo e di semplicità compositiva. Dimensione mentale che ricorre in una esperienza regionale che ha cercato faticosamente di costruire una propria identità staccata anche da Napoli, puntando proprio sulla «verità» del suo paesaggio. Un paesaggio che «respinge i facili amori«, sottolinea Emanuela Angiuli citando Francesco Barberi, in un saggio che rilegge con affettuosa attenzione le testimonianze dei grandi viaggiatori, da Willemsen a Janet Rossino a Cesare Brandi. 

L’impresa che occupò i pittori pugliesi di primo Novecento è commentata criticamente da Marilena Di Tursi. A loro è dedicata l’ultima sala della rassegna. Ancora un barlettano di notevole spessore, Giuseppe Gabbiani, e Armenise, Ciardo, Bartolomeo Paradiso, Enrico Castellaneta, Damaso Bianchi. E Francesco Romano, il «pittore moncherino» di Gioia del Colle. La mostra si chiude su un suo «Giardino fiorito». Sul suo sogno generoso: «Valorizzerò la nostra Puglia, da tutti dimenticata, se non addirittura sconosciuta, ma che ha colore e plastica, forma e sostanza, tutto ciò che l’artista vuole, tutto ciò che l’artista possa desiderare».


PIETRO MARINO

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO





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