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20/05/2010.  STORIA - FRANCO CARDINI: "ERA NEL MEDITERRANEO QUEL MEDIOEVO PIU' FELICE TRA OLIO, VINO E GRANO".

Riproponiamo ai nostri Lettori le acute osservazioni del nosto storico medievista Franco Cardini pubblicate sulla Gazzetta del Mezzogiorno.

L’olio, il vino, il grano. È questo il Mediterraneo, è qui che ci riconosciamo. Anche da noi in Italia, la vera «frontiera» socioculturale (che resta, nonostante tutto, ben netta) è quella tra chi in cucina usa l’olio (d’oliva, per quanto ci si sia dovuti adattare agli orridi succedanei tra i quali quello di girasole e di mais restano i meno infami) e chi usa il burro. Non che sia sempre stato così, intendiamoci: la storia ha imposto i suoi mutamenti.

Nella mia Toscana ad esempio, che pur va tanto fiera dei suoi oliveti, il lardo e lo strutto hanno spadroneggiato fino a tempi molto recenti: non per caso, siamo stati area d’insediamento longobarda. Ma i germani venuti dalla Pannonia hanno imposto profondamente i loro gusti anche più a sud: l’abbondanza di grassi animali (il solito lardo, il solito strutto) nella cucina campana non si spiega se non si pensa ai longobardi di Benevento e di Salerno. Mentre i liguri, che pur sono gente settentrionale ma dove l’impero bizantino ha retto più a lungo, restano fedeli alla cucina più magra d’Italia (ma dicono che siano anche spilorci).

L’olio, il vino, il grano. Senza di loro, la Bibbia e l’Odissea restano estranee, incomprensibili. E ormai anche gli storici hanno da tempo accettato di occuparsi di questi oggetti di studio, peraltro fondamentali, affascinanti e molto ben documentati. Basi della nostra alimentazione, essi lo sono anche del nostro immaginario: senza la vite, l’olivo e la spiga non si celebrano i riti degli antichi greci e romani, non si onora il Dio d’Israele, non si dice messa.

Il sacro, quindi, ma anche la vita. E non solo dal punto di vista dell’alimentazione. Anche la salute e la medicina stanno, da noi, sotto il segno dell’olio e del vino: non solo alimenti preziosi per le loro qualità intrinseche, ma anche componenti essenziali di molti rimedi nella farmacopea antica e medievale che peraltro quella moderna e contemporanea non solo non ha mai abbandonato, ma anzi va riscoprendo.

Il Medioevo è, con l’antichità romana ma per molti versi ancor più di essa, il lungo periodo nel quale la penisola italica fonda, mantiene e modifica le sue caratteristiche di grande produttrice d’olio e di vino; il Meridione d’Italia è inoltre rimasto per lunghi secoli uno dei principali granai d’Italia e d’Europa.

Proprio a questi temi è dedicato un recente volume uscito a Bari per i tipi, eleganti come il solito, dell’editore Adda: Mezzogiorno rurale. Olio, vino e cereali nel Medioevo, curato da Pietro Dalena, medievista dell’Università della Calabria.

Raramente un «grosso» libro, rilegato e illustrato, è anche un «grande» libro. Qui siamo dinanzi a un’eccezione: in cui, del resto, le sobrie illustrazioni sono sempre funzionali al testo. Pietro Dalena - uno studioso ormai «di lungo corso», del quale vanno tuttavia ricordati, fra l’altro, gli importanti contributi relativi alla viabilità e ai pellegrinaggi - ha raccolto attorno a sé un gruppo di giovani collaboratori per analizzare sistematicamente la storia di olivo e olio, di vite e vino, di cereali (non solo grano) e panificazione.

Intendo dire che siamo di fronte a uno studio che, a più voci, ricostruisce a più voci la storia «a trecentosessanta gradi» della vita rurale del Mezzogiorno: lo spazio delle colture e le sue vicende - molto più complesse di quanto non si tenda a credere -, le tecniche di coltivazione e di produzione, i mezzi e gli strumenti di lavoro, i rapporti sociali di produzione, i costi e i ricavi, i trasporti e i mercati, i produttori e le clientele, i problemi delle reti d’approvvigionamento, le questioni connesse all’immagazzinamento, alla conservazione, al trasporto, al deterioramento.

All’olio, agli oliveti e ai frantoi - antica gloria pugliese, ma non solo - si dedica Dalena. Ma abbiamo parlato dell’«uso sacro» di questi prodotti: e molto opportuno è al riguardo il breve ma denso saggio di Paola Carnevale dedicato all’olivicoltura nelle fonti agiografiche italo-greche tra IX e XI secolo, un’indagine affascinante su fonti di solito dimenticate.

Un bell’affresco viene presentato nel volume sulla viticoltura e la produzione del vino, molto attento tra l’altro alle varie aree di produzione, ivi comprese alcune che, celebri già fin dall’antichità, sono rinomate ancor oggi (o sono state oggetto di esperimenti revivalistici, che magari sfruttano gli antichi nomi). Certo, il vino antico, e anche medievale, era un prodotto molto diverso dal nostro e da quello che c’immaginiamo. La produzione di grano e cereali presenta fattori di mutamento e di discontinuità. Non bisogna immaginarsi un Mezzogiorno che sia «sempre stato» biondeggiante di campi di grano: non è così. Anzi, contrariamente a quel che i non-meridionali di solito immaginano, le condizioni climatiche e podologiche di parte del Meridione sono poco adatte ai cereali. È quindi alla storia dell’uomo e del suo lavoro che bisogna ricorrere per rendersi conto delle ragioni di scelte che non sono sempre state condizionate dalla natura, ma che anzi spesso l’hanno a loro volta condizionata.

Il che mostra in fondo quanto questo libro di storia sia «attuale». Altro che determinismi naturalistici, «terre benedette» (e magari «guastate» dal progresso…) e così via. Anche i paesaggi, cui oliveti vigneti e campi coltivati tanto contribuiscono, sono frutto di una «collaborazione» tra uomo e natura che oggi si presenta problematica, ma che non è mai stata facile. Così, il passato si riflette sul presente, lo spiega, contribuisce a gestirlo. Questa è la storia: altrimenti, è pura erudizione rievocativa. Che, come diceva il grande Nietzsche, non serve a nulla.

FRANCO CARDINI

Fonte: La Gazzetta on the web
Giovedì 20 maggio 2010





 

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