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04/12/2010.  DE NITTIS A PARIGI, IL RITORNO - UN ARTICOLO DI MICHELE CRISTALLO.

Pubblichiamo l'articolo di Michele Cristallo, giornalista "esperto" della materia ed autore di numerosi libri sull'argomento, sul ritorno a Parigi di Giuseppe De Nittis nella mostra a lui dedicata al Petit Palais.

Giuseppe De Nittis “torna” a Parigi 126 anni dopo la sua morte. Il pittore barlettano morì in una afosa domenica di agosto nella villetta di campagna a Saint Germain en Laye. Aveva confidato alla adorata moglie Leontine di avere un forte mal di testa. Ne soffriva da alcuni giorni. Quel pomeriggio il malore si era accentuato; il pittore chiuse gli occhi, come per dormire. Si concluse così la sua avventura terrena. Erano le 18 del 24 agosto del 1884. Peppino aveva solo 38 anni.

La notizia della sua morte si diffuse rapidamente in tutta la Francia. Numerosi amici rientrarono precipitosamente dalle vacanze per l'estremo saluto al pittore. Tra i primi d accorrere e a confortare il figlio Jacques e la vedova Leontine, Edmond de Goncourt, Edgar Degas, Alexandre Dumas che dettò l'epigrafe sulla tomba.

Per settimane i giornali e le riviste specializzate di tutta Europa pubblicarono articoli sulla cifra artistica del pittore, celebrato tra i grandi della seconda metà dell'Ottocento.

Poi, improvviso, strano e ingiustificabile, l'oblio della critica. Salvo una breve parentesi nel maggio del 1886 con la grande retrospettiva nella galleria Bernheim Jeune in rue Lafitte che registrò un discreto successo: furono esposte 126 tele; ne furono vendute 33.

Si dovette attendere la Biennale di Venezia del 1914 perché le opere del De Nittis riconquistassero la ribalta internazionale, così come meritava. Ma u solo una parentesi. Poi ancora silenzio.

Ora De Nittis “torna” a Parigi con tutti gli onori con la rassegna “La modernité élegante” che si concluderà il 16 gennaio 2011 nel Petit Palais, Musee des Beaux Arts. De Nittis è già presente in quel museo con alcune significative opere, tra le quali “National Gallery a Londra”, un olio su tela cm.70x75 presentato all'Esposizione Universale del 1878, “La guardiana di oche”, altro olio su tela presentato al Salon del 1884.
Nella mostra parigina inaugurata il 20 ottobre sono Sono presenti 120 opere, 47 delle quali provenienti dalla Galleria De Nittis di Barletta.

Una sorta di rivincita, quindi, sull'oblio di tanti anni.
Ma, perché tanto ostinato silenzio?

I motivi sono molteplici. Ma uno su tutti ha penalizzato De Nittis in maniera particolare: il suo rapporto con l'Impressionismo. Piero Dini e Giuseppe Luigi Marini, autorevoli studiosi, ricordano che "De Nittis fu operoso negli stessi anni che videro maturare la rivoluzione degli Impressionisti e in intimità con alcuni esponenti del gruppo, di cui condivise le istanze, ma con prudente gradualità, tale da conservargli il favore di un pubblico restio a digerire radicali innovazioni espressive e da lui condotto ad accettarle passo passo."

Il successo che ebbe in vita fu strumentalizzato dai critici che bocciavano gli Impressionisti per esaltare la modernità di De Nittis.

Quando agli Impressionisti, anni dopo, arrise fortuna e riconoscimento critico, De Nittis fu riproposto come loro contraltare e quindi isolato, condannato "a restare una figura vagante" schiacciato, com'era, tra i Macchiaioli con i quali aveva condiviso le prime esperienze fiorentine e gli Impressionisti con i quali aveva partecipato alla prima “avventura” nell'atelier del fotografo Nadar in Boulevard des Capucines nel 1874.

Una sorta di vendetta nei confronti di chi, in vita, aveva avuto fortuna e successo negli anni nei quali i vari Degas, Monet, Renoir, Morisot, Pissarro, facevano la fame.

Quasi in ossequio a quella letteratura che vuole gli artisti poveri, incompresi, addirittura derisi in vita e “scoperti” e osannati dopo la morte.

Equivoci che presero piede subito dopo la sua scomparsa quando i critici si avventurarono in giudizi, forse affrettati, come Paul Mantz il quale scrisse che il pittore di Barletta servì parecchio all'Impressionismo "essendo divenuto per certe ricerche, il punto di partenza di uno studio che dura ancora"; o Ary Renan, secondo il quale De Nittis "fece penetrare con franchezza nell'animo del pubblico una parte della dottrina dell'Impressionismo", o Le Figaro che gli attribuiva "un posto di prima fila della scuola impressionista"; o Le Moniteur Universel secondo il quale il pittore di Barletta "fu uno dei primi che sapesse spogliare le teorie impressioniste da quello che esse aveano di eccentrico"; o Emile Bergerat che sul Figaro scrisse che "la morte di Giuseppe De Nittis decapita la scuola italiana e l'Impressionismo".

La verità è che De Nittis fu solo se stesso, perché possedeva un talento naturale che gli consentiva di destare "ammirazione senza meraviglia" come scriveva Léonce Bénédite, conservatore del Museo del Luxemburg e del Museo Rodin in un saggio pubblicato negli Anni Venti.

Ecco quanto scriveva il giornale “La Justice” il 28 agosto del 1884, due giorni dopo la morte del pittore: "Dopo il periodo passato nella terra natale, arsa sotto il calore del fuoco che viene giù dal sole, dopo la contemplazione degli orizzonti nettamente definiti nella luce uniforme, egli si è innamorato delle case, dei ponti, delle stazioni che appaiono vagamente nelle brume di Londra, dopo le bellezze aspre del paesaggio italiano, egli ha ammirato le opere complicate che nascono dalla civiltà delle metropoli, con una precisa comprensione della loro bellezza, si è fermato davanti alle impalcature,davanti agli archi di ghisa, davanti alle locomotive; ha dipinto con la stessa passione la Rout de Castellammare e il Tunnel de Charring-Cross. E la sua curiosità senza sosta passava dal rivestimento in ferro di una macchina alla stoffa leggera che orna il corpo di una donna".

Questa straordinaria versatilità, che non è facile eclettismo, gli consentiva di affrontare con assoluta padronanza il pastello, l'acquerello, l'incisione all'acquaforte, la punta secca. De Nittis, in definitiva, non è arruolabile in alcuna scuola, egli che odiava la scuola e l'accademismo.

De Nittis non è arruolabile in alcun movimento, come osserva acutamente uno sei suoi maggiori interpreti insieme con Vittorio Pica, Enrico Piceni.

"Passò attraverso l'accademismo napoletano vecchio e nuovo, attraverso l'accademismo travestito di Gérome e Meissonier, attraverso il Macchiaiolismo e l'Impressionismo e rimase, nel fondo, sempre fedele a se stesso".

Dell'Impressionismo, sosteneva Piceni in una nota del 1933, De Nittis "accettò quanto si confaceva al suo istinto e lo completava e ne sentì profondamente le due ricerche capitali: quella dell'atmosfera e quella del carattere della vita moderna, ma non spinse l'una sino alle disfatte armonie cromatiche di un Monet e l'altra alle crudeli deformazioni di quel nemico della grazia che fu Degas".

Lo stesso Piceni, nel corso di una amabile conversazione che ebbi con lui verso la fine del 1984 mi disse: "De Nittis è un grande artista nel senso che è unico. C'è nella sua pittura un'eleganza intima, un modo di pennellare inimitabile. Si badi che ci troviamo di fronte a un pittore morto giovanissimo. De Nittis è un po' come quei musicisti che compongono un'opera sola, ma inimitabile. E' un pittore – aggiunse – che nuota sopra gli altri. Né è possibile fare paragoni. Tutti quelli che hanno tentato di imitarlo non ci sono riusciti. Ha una mano che gli ha dato il Padreterno. Nelle sue opere c'è un'eleganza che raggiunge la genialità".

Eleganza e modernità. Non a caso il titolo della mostra nel Petit Palais di Parigi fa riferimento a queste connotazioni dell'arte denittisiana.

Un pittore che, pur avendo raggiunto le vette della gloria, seppe essere sempre se stesso, seppe conquistare i salotti esclusivi e i circoli culturali di Parigi e Londra, seppe imporsi all'attenzione di una società raffinata e presuntuosa, senza mai rinunciare al suo spirito giovane, alla gioia con la quale guardava al mondo del quale, stupito, coglieva i connotati più suggestivi e poetici, con l'occhio di un bambino.

Contro le mode, contro le stagioni. Sorridendo.

MICHELE CRISTALLO





 

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