11/01/2007. CHIESA MISSIONARIA - LA NUOVA LETTERA DAL BRASILE DI PADRE SAVERIO PAOLILLO, MISSIONARIO COMBONIANO.
Carapina, 24 dicembre 2006
Carissimi Amici,
Abbiamo appena finito di celebrare la Messa di Natale. Sono le 21:30. Qui non è possibile celebrare a mezzanotte perché la situazione è abbastanza difficile. Da alcuni giorni, gruppi di giovani incendiano gli autobus come forma di protesta contre le condizioni disumane in cui vivovno i detenuti. La situazione piú grave è quella di Rio de Janeiro dove ci sono stati oltre venti morti, tra cui sette passegeri di un autobus che, in etá avanzata, non sono riusciti a scappare al momento dell'attentato. Qui da noi non ci sono vittime, ma sono giá cinque gli autobus incendiati. La gente non esce di casa la sera per paura di essere coinvolta in questi atti di violenza. Durante la processione di entrata, al momento di mettere il Bambino Gesú nella magiatoia, mi sono venuti in mente i volti di molti bambini incontrati durante il 2006, ma in particolare mi sono ricordato di Francisco e José, due bambini di tre e cinque anni che, durante il mese di giugno, sono rimasti in ostaggio durante un'ennesima rivolta nelle carceri di Vitória. Sono stati i giorni piú difficili del 2006. Tutto è comiciato il 14 giugno nella Casa de Passagem che è un carcere con capacitá per duecentocinquanta detenuti e che, invece, ne riunchiude settecentocinquanta. Durante un culto con un gruppo di protestanti, i detenuti si sono ribellati prendendo in ostaggio il pastore, una guardia carceraria, un'assistente sociale e cinque donne. Armati con due pistole misteriosamente entrate nel carcere, i detenuti minacciavano di uccidere gli ostaggi se non fossero accolte le loro richieste. Alla sera ricevetti una telefonata via cellulare in cui i propri detenuti mi chiamavano per aiutare nelle trattative. Oltre me, i detenuti esigevano la presenza di un giudice, di un pubblico ministero e di Isabel, una signora che, da oltre vent'anni, realizza un belissimo lavoro di pastorale carceraria. Ottenuto il permesso dell'arcivescovo, Isabel e io ci siamo recati immediatamente alla porta del carcere per aiutare nelle trattative. Appolaiati sul tetto del carcere i detenuti minacciavano buttare giú gli ostaggi per costringere le autoritá ad accettare le loro richieste. In varie occasioni la guardia carceraria fu appesa per i piedi, testa in giú. Anche alcuni detenuti, con problemi all'interno del carcere, venivano ripetutamente appesi e picchiati davanti a tutti. Durante la prima fase delle trattative sapemmo che c'era un detenuto morto all'interno del carcere. Era morto asfissiato dopo che i suoi compagni avevano messo fuoco alle celle. Non si erano accorti che dormiva. Chiedemmo che ci consegnassero il corpo, ma i detenuti non davano ascolto alla nostra richiesta La loro intenzione era quella di appendere il corpo bruciato perché fosse filmato dalla stampa per creare una forte emozione sull'opinione pubblica. Con il sopraggiungere della sera, le trattative furono sospese per desiderio dei propri detenuti. Ricominciarono il 15 giugno, festa di Corpus Domini. Erano le dieci del mattino quando riuscimmo a convincere i detenuti a consegnarci il corpo del loro compagno. Avvolto in lenzuoli fu calato dal tetto perché l'ingresso del carcere era bloccato dalle barricate per impedire una possbile invasione della polizia. Durante tutta questa operazione l'ambiente fu invaso da un tetro silenzio. Quel corpo ammainato sembrava il declino della dignitá umana. Nel giorno in cui si celebrava l'eucarestia, il sacramento della vita, il pane del cielo, eccoci alle prese con una ennesima scena di morte. Pensavo alla mia gente riunita in pregheira per l'Eucarestia e la processione. Avrei voluto stare con loro per celebrare il corpo della vita eterna. Ma ero obrigato a restare lá per ricevere un corpo senza vita, una ennesima giovane vita morta prematuramente per la violenza. Era la mia macabra processione. Pensavo alla madre che tra poco avrebbe ricevuto tra le braccia il corpo del figlio, cosí simile a Maria, ai piedi della croce. Rimbalzava nelle mie orecchie il grito di Marta: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto" (Gv 11,21). É la presenza di Cristo, ancora piú reale nella Eucarestia, que garantisce la vita in pienezza, quella che non muore mai. Consegnato il corpo cominciammo le trattative per la restituzione degli ostaggi. La polizia non ci permetteva di parlare molto con i detenuti. Voleva l'esclusiva della trattativa. Aveva paura che il nostro intervento potesse buttare discredito sul loro lavoro Tutto ció impediva che le trattative avanzassero. I detenuti si rifiutavano a trattare direttamente con la polizia per mancanza di fiducia, per cui entrarono in contatto con noi attraverso il telefonino. I detenuti esigevano la fine della pratica della tortura da parte della polizia, migliori condizioni di reclusione, assistenza giuridica a quelli che non hanno avvocato e il trasferimento di alcuni di loro da un carcere all'altro. Alla sera, non riuscendo ad ottenere risultati positivi, i detenuti sospesero ancora una volta le estenuanti trattative. Ripresero il 16 e continuarono il 17. A mezzogiorno del 17, riuscimmo a convincere la polizia a lasciare che noi parlassimo direttamente con i detenuti. Isabel fece un discorso commevente. Fece un appello accorato, carico di sensibilitá materna per convincerli a porre fine a tutta quella violenza. Demmo quindici minuti per pensare e per consegnare gli ostaggi, ma un improvviso alterco tra i detenuti e il comandante della polizia distrusse tutto il nostro lavoro. La polizia allora ci fece uscire dal carcere e decise di invadere. Erano le 13. Due elicotteri erano in posizione di attacco perché l'invasione soltanto sarebbe stata possibile dall'alto. Sarebbe stata una carneficina. Oltre a mettere in rischio gli ostaggi, i poliziotti ne avrebbero aprofittato per fucilare i detenuti. Questi, resisi conto del rischio di invasione, circondarono gli ostaggi con materassi e minacciarono porvi fuoco. Entrammo in contatto con l'arcivescovo e gli chiedemmo di intercedere presso il Governatore perché non desse l'ordine di attaccare. Quando tutto ormai era pronto, finalmente arrivó l'ordine di sospendere l'invasione. La calma tornó. Per tutto il pomeriggio ci fu un grande silenzio. La polizia cercava di entrare in contatto via radio con i detenuti, ma questi non rispondevan. In una piccola pausa riuscí anche a vedere alcuni minuti della partita dell'Italia contro gli Stati Uniti della coppa del mondo. Serví per rilassarmi. Alla sera arrivó la notizia che erano esplose rivolte in altre carceri e che sei autobus erano stati incendiati in vari punti della cittá. Nel carcere di massima sicurezza c'erano duecento e cinquanta ostaggi. Erano le moglie e i figli dei propri detenuti che furono impediti di uscire alla fine della visita settimanale. Tra gli ostaggi c'era anche una guardia carceraria. Il nostro telefonino non smetteva di suonare. I detenuti delle altre carceri volevano che li aiutassimo nelle trattative, ma noi decidemmo di rimanere nella Casa de Passagem. Come sempre, arrivata la sera, le trattative furono sospese. Alla domenica rimasi in casa per poter dedicarmi alle messe domenicali. Al pomeriggio ricevetti una telefonata in cui i detenuti mi garantivano che si sarebbero arresi, ma soltanto alla nostra presenza. Isabel e io ci recammo di nuovo al carcere. Piovigginava. C'erano segni di stanchezza. I detenuti da due giorni erano senza luce e senz' acqua, tagliati dalla polizia per costringerli ad arrendersi. Gli ostaggi erano estenuati. Le donne supplicavano per l'amor di Dio perché la polizia accettasse le condizioni dei detenuti. Avvicinatici all'edificio in cui erano raccolti i ribellati, i detenuti incominciarono tutto di nuovo. La tensione aumentó di nuovo. A quel punto mi arrabbiai e alzai il tono della voce. Dissi che ero andato per assistere alla loro resa. Chiesi silenzio e invitai tutti a pregare. All'improvviso ci fu un grande silenzio e tutti pregarono. Pronunciammo del parole del Padrenostro. Le recitammo con calma. Tutti parteciparono. Ci demmo anche le mani in segno di fraternitá. Alla fine gridai: "Viva la libertá!". Tutti applaudirono Alla fine, accompagnati da un ufficiale della polizia, ci recammo nella parte posteriore dell'edificio, dove i detenuti ci consegnarono le due pistole e tutti gli ostaggi. Anche se felici per l'esito positivo, eravamo stanchi e preoccupati. Anche le altre carceri si erano arrese, eccetto il carcere di massima sicurezza dove erano mantenuti in ostaggio donne e bambini. Ormai era sera. Non si poteva fare niente. Andammo a casa per cercare di dormire un poco. Il lunedí, 19 giugno, al pomeriggio, ci recammo al carcere di massima sicurezza. Dopo estenuanti trattative, i detenuti accettarono di arrendersi. Prima ci consegnarono le armi, che, a differenza dell'altro carcere, erano giocattolo. Poi cominciarono a consegnarci le donne e i bambini. Rinchiusi nel carcere da quattro giorni, senza acqua e senza luce, i bambini avevano il volto spaventato. La loro tristezza mi provocava, allo stesso tempo, commozione e rabbia. Commozione per il dolore della separazione dal papá che continuava recluso. Rabbia per essere stati coinvolti in un atto di violenza che li marcherá per tutta la vita. Doppiamente vittime innocenti di una violenza che li priva degli affetti piú cari e li espone alle piú terribili atrocitá. Girandomi verso il comandante della polizia lo indagai sul futuro di questi bambini. Su una cosa eravamo finalmente daccordo: era grande il rischio del loro futuro coinvolgimento nella malavita. Il peggio era che il dramma di quei bambini non finiva lí. Dopo la sofferenza de essere rimasti rinchiusi per alcuni giorni in un carcere in rivolta, ora dovevano passare per un corridoio di poliziotti muniti di terribili cani per essere perquisiti. Un ulteriore atto di violenza, anche perché la polizia non mostró nessuna sensibilitá. Usciti tutti i bambini e le donne, ci consegnarono sessanta detenuti che erano mantenuti in ostaggio. Erano i cosidetti "infami". Si trattava di persone che avevano commesso delitti che sono inaccettabili agli occhi della propria popolazione carceraria, come violenza sessuale e pedofilia. Fu una scena terribile. Tutti i detenuti erano legati tra di loro per i polsi. Sembrava un ammasso di gente sporca, ferita e spaventata. Erano sicuri di non uscire vivi da quell'inferno. Finalmente liberi, ringravano Dio e noi per esserne usciti illesi. Con l'aiuto di un coltello, cominciai a tagliare i legacci. Alcuni poliziotti mi diedero una mano. Ce ne volle per liberarli tutti. Finita questa operazione, venne la parte piú dura. Uno dei detenuti ribellati mi disse che mi avrebbe consegnato i cadaveri di due detenuti assassinati durante la rivolta per regulamento di conti. Ne avevo viste di tutti i colori in questi anni di lavoro in Brasile. Le scene di violenza sempre marcarono il mio apostolato, ma quelle furono terribili. C'era una coperta bruciacchiata vicino a me. La stesi per terra per adagiarvi i corpi, ma mentre facevo questa operazione sentí un rumore. Mi girai di scatto e, per mia sorpresa, vidi una testa rotolare fino ai miei piedi. Poi arrivó il primo corpo, senza testa e il secondo con il capo schiacciato. Erano in avanzato stato di putrefazione. Erano rimasti appesi durante tutta la rivolta sulla facciata del carcere. Mi feci coraggio e, prima di coprire i corpi con la coperta, scattai alcune foto con il mio telefonino. Non per il gusto del macabro, ma per registrare nella memoria fino a che punto arriva la barbarie umana. Abbracciai Isabel che piangeva dirottamente. In quel momento fui assalito da grandi dubbi e domande angosciose. "Che senso ha il nostro lavoro?". "Siamo difensori dei diritti umani. Ma dove è andata a finire la dignitá umana?". "Siamo persone o bestie?". Eravamo circondati da persone che non riconoscevano il valore della dignitá umana. Da una parte la polizia. Pronta ad intervenire con violenza. Agressiva durante tutto il tempo. Minacciosa. Senza rispetto verso noi, accusati di essere "benevolenti" verso i banditi, e contro le donne e i bambini, perché erano parenti dei detenuti. Con il sangue negli occhi non vedeva l'ora di invadere il carcere per picchiare, torturare, uccidere. Dall'altra parte i detenuti, autori di violenze indicibili, torturatori dei propri compagni, aguzzini spietati. Devo confessarvi che in quel momento mi sono sentito un grande sconfitto. Un inutile. "Che senso ha il nostro lavoro in mezzo a tanta crudeltá?" Ma ecco che in quel clima di mostruositá, Tuia, il detenuto che durante dutte queste fasi faceva da lider, mi chiamó e mi chiese di avvicinarmi. Approfittai di un momento di distrazione della polizia e mi recai fino alla porta del carcere dove, oltre Tuia, si concentrava un piccolo gruppo di detenuti con il volto coperto. Tuia era l'unico che non nascondeva il volto. In un momento di tenerezza impensabile in quella situazione, mi abbracció forte, mi disse grazie, l'unico ringraziamento ricevuto. Neanche lo Stato ce lo diede. Poi mi prese la mano e la stese verso l'entrata del carcere. Non si vedeva niente perché l'ambiente era annerito dal fumo. Il comandante dell'operazione mi chiedeva di tornare. Aveva paura che mi prendessero in ostaggio. Non gli feci caso. Continuai a camminare. Ad un certo punto sentí nella mia un'altra mano. L'afferai con forza e mi resi conto che era l'ultimo ostaggio: la guardia carceraria. Fu un momento di allegria. Pensavamo che fosse stato ucciso. Con la restituzione dei cadaveri, credevamo ci consegnassero anche il corpo della guardia carceraria. Che sollievo. Tuia vedendomi felice mi disse: "Lo abbiamo fatto per te e Isabel, perché ci volete bene!". Fu un raggio di luce in quelle tenebre. Fu lí che scoprí la ricchezza del nostro lavoro. Basta la nostra presenza. In mezzo alla guerra ci vuole una presenza di pace. In mezzo ai conflitti è necessario che ci siano persone riconciliate. In mezzo alla violenza, ci vuole chi ama la vita e la difende fino alle ultime consequenze. Lá c'era un vero e proprio apparato di guerra. Armi pesanti, cani feroci, scudi e soldati pronti per l'attacco. Ma tutto questo non è servito a niente. La violenza si ritiró davanti alla nostra pace. Gli animi si arresero alla nostra semplicitá. La rivolta cessó grazie alla nostra ostinazione a trattare tutti con il rispetto che è proprio di ogni essere umano. Il volto teso dei contendenti si sciolse al calore del nostro sorriso. La morsa della rabbia si trasformó in forte e fraterno abbraccio. La nostra speranza, soffocata dalla crudeltá testimoniata fino a quel momento, si riaccendava piano piano, ostinatamente, perché scopriva ancora una volta che la violenza è una parentesi nella storia dell'umanitá. Un incidente di percorso. Il ruolo principale spetta ancora alla vita. L'umanitá ha ancora voglia di vivere. Anche quella che sembra cedere troppo alle lusinghe della cultura della morte, desidera incontrare chi le restituisce il sapore della vita. È qui che si inserisce la nostra testimonianza. A volte mi sento come un grande ventre materno la cui missione è quella di produrre vita. Questo è anche il senso della mia castitá. Non è semplice privazione o repressione del piacere sessuale. Questa è la continenza. Ma é sopratutto donazione, amore effusivo, generoso, che produce, genera e rigenera, aiuta a rinascere dall'alto e nello spirito. Questa è la nostra specificitá. Non siamo chiamati a generare qualunque vita, ma quella che scaturisce dal cuore di Dio. È per questo che il ventre, il nostro ventre, deve essere permanentemente fecondato dallo Spirito. Se il nostro lavoro pastorale produce una vita qualunque, insossa, identificata con la proposta del mondo, mediocre, adattata alla corrente in moda è un vero fallimento. È fruttuoso il lavoro pastorale che cambia, che produce tagli anche se dolorosi, che fa entrare nell'ottica di Dio, che induce al cambiamento di rotta, che fa andare contro corrente, che produce pace, genera vita, dá opportunitá al perdono, dissemina amore, piega al servizio, scommette la vita sui valori del Vangelo.
È questa vita che scaturisce dal ventre di Dio che noi cerchiamo di disseminare attraverso il nostro lavoro. Il 2006 è stato un anno ricco di inziative e attivitá. Ringraziamo Dio per tutto quello che siamo riusciti a realizzare grazie anche al vostro aiuto. Durante l'anno il nostro progetto pedagogico ha sviluppato l'idea della valorizzazione della vita. I progetti sono stati trasformati in vere e proprie miniere e gli educatori hanno vestito i panni dei cercatori di pietre preziose. La sfida era quella di trovare le pietre preziose e lapidarle per farle diventare bellissimi gioielli. L'intuito era quello di aiutare ogni persona che frequenta le nostre attivitá a riconoscere se stesso e l'altro come una pietra preziosa, a volte, ancora allo stato grezzo, imbruttito dalla violenza e dalla cultura della morte, opaco e senza briglio, ma con un potenziale raccolto in se stesso che aspetta di essere riscattato e messo in luce grazie a un paziente lavoro di lapidazione sviluppato in sette tappe, durante le quali i ragazzi hanno avuto la possibilitá di entrare in confronto con tutto ció che minaccia la vita, come la mancanza di autostima, la droga, la violenza, la banalizzazione della sessualitá, la negazione dei diritti fondamentali, i contro-valori, l'assenza di un progetto di vita, e di scoprire i valori che possono restituirle il suo vero significato e la sua profonda bellezza. Durante tutto questo percorso pedagogico i ragazzi hanno organizzato ricerche, hanno fatto teatro, usato dinamiche, fatto interviste e visite guidate. L'aspetto piú interessante è stato il coinvolgimento di molti genitori che periodicamente hanno partecipato di riunioni nei progetti per lasciarsi coinvolgere nell'educazione dei loro figli. Tutto questo lavoro è stato svolto in sette centri: I Projeto Cidadão, Projeto Legal e Meninos e Meninas do Mestre occupano i ragazzi durante il tempo libero dalla scuola. La Casa di Accoglienza "Nossa Casa - Danilo e Luca Fossati" accoglie in media 12 ragazzi di strada fino al loro ritorno alla famiglia di origine. Le case-famiglia "Pe Raffaele Dimiccoli" e "Luca Fossati" accolgono ragazzi e ragazze senza famiglia e la "Casa Sol Nascente" svolge attivitá con i ragazzi in libertá vigilata. Durante il 2006, hanno partecipato alle nostre attivitá direttamente 2336 persone: 506 bambini, 935 adolescenti e 905 giovani e adulti, quasi tutti familiari dei nostri ragazzi. Tra i ragazzi, 159 sono stati avviati dal Tribunale dei Minori in Libertá Vigilata e 53 sono stati accolti a tempo integrale nelle nostre case di accoglienza. Di questi, cinque sono rientrati in famiglia. Tra le principali attivitá svolte, segnaliamo:
ATTIVITÁ Nº ISCRITTI
2.1 ATTIVITÁ SPORTIVE/ Calcio maschile 81 Calcetto Maschile 119 Calcetto Femminile 17 Atletismo 102 Capoeira 182 Karatê 25 Remo 04 2.2 ATTIVITÁ PEDAGOGICHE Doposcuola 626 Ludoteca 195
2.3 TEATRO, MUSICA E DANZA Danza 30 Teatro 63 Musica 06 Canto 18
2.4 ARTIGIANATO Ricamo 145 Artigianato in legno 81 Uncinetto 13 Tessitura 28 E.V.A. 99 Scatole per regali 39 Nastri 39 Sotto piatti e sotto bicchieri 31 Ricordini per compleanno 12 Mosaico 26 Bigiotteria 43 Disegno 185 Tapezzeria 28 Biscuit 118
2.5 ARTI PLASTICHE Pittura su panno 49 Pittura in tela 130 Decorazione 26
2.6 CURSI PROFESSIONALI Panificio 73 Taglio e cucito 63 Informática 244 Biancheria intima 55 Manicure 45 Parrucchiere 90 Bigiotteria 32 Garçom 37 Riciclaggio 79 Meccanico - motore 35 Eletrauto 39 Elettricista 26 Soldatore 17 Cameriera 23 Muratore 36 Pasticciere 27 Soldatore MIG MAG 17 Meccanico Sospensione e direzione 26 Meccanico di freni 40 Cuoco 27 Ausiliare di secretaria 68 Telemarketing 58
Due dati meritano di essere sottolineati: tutti i bamini e gli adolescenti che frequentano le nostre attivitá sono regolarmente iscritti e frequentano la scuola e tra coloro che hanno fatto uno dei nostri corsi professionali, 204 hanno trovato lavoro. Siamo soddisfatti e pronti per ricominciare di nuovo. Eccetto le case di accoglienza, gli altri progetti in questi giorni sono chiusi per qualche giorno di vacanza. Anche gli educatori hanno bisogno di un po'di riposo per recuperare le energie e affrontare le prossime battaglie. È giá pronto l'itinerario pedagogico 2007. Ne ne parleró in una prossima occasione. Il 2007 è un anno importante per tutti noi: celebriamo i 10 anni di fondazione del primo progetto che compone la nostra rete di attenzione ai bambini e agli adolescenti. Sono dieci anni di storia che in parte sapete, ma che vi racconteró dettagliatamente in una prossima lettera. Voglio usare le ultime parole di questa lettera per ringraziarvi ancora una volta. Dio dica bene di tutti noi.
Padre Saverio Paolillo Commissione Diocesana Cultura e Comunicazioni Sociali dell'Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie - http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/vis_diocesi.jsp?idDiocesi=205
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