Il ricordo di Lino Patruno, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno
Non so quale dio (minuscolo) si stia ora occupando di lui, ma da cristiano credente anche se poco presente mi permetto di pregare il buon Dio (maiuscolo) di rivolgergli un occhio di benevolenza. Perché Raffaele Iorio un po’ di amarezza a santa romana chiesa l’ha sempre procurata: cominciando col dire che ne sapeva più lui di tanti ecclesiastici, anche se la fede non era un suo vanto, anzi. Ma Raffaele era figlio di un’ebrea, e vivere tra due fuochi non deve essere stato facile. La sorpresa, ora che se ne è andato in punta di piedi in una notte d’inverno, è cogliere la sorpresa e lo sconcerto, quasi quasi gli volessero tutti bene, nonostante tutto. Perché sulfureo come un diavolo Raffaele lo era, anzi pareva facesse di tutto per dispiacere più che per compiacere. E non voglio rivelare quante volte sono stato invitato a farlo fuori, quello spocchioso, insopportabile, sfregiante Iorio che si credeva un mammasantissima, che sapeva tutto lui, e interveniva su tutto lui, e non si limitava a dissentire, doveva usare il coltello, e a volte lo schiaffo, che dalle nostre parti è peggio. Sembrava segnato dalla vita, Raffaele, e la strada sbarrata del mondo accademico era un po’ conseguenza del suo caratteraccio, un po’ di un’atmosfera non troppo disponibile in questo sconcertante Paese verso il merito, per quanto indigesto e senza mezze misure come il suo. Ma che fosse un pozzo di scienza, neanche il suo peggior nemico potrebbe negarlo. Qualcuno lo tacciava di erudizione più che di cultura, ma questo mi sembra un sofisma da gelosi. La verità è che tu chiamavi Raffaele e lui ti rispondeva, come diceva scherzosamente ma compiaciuto, a gettone: e su qualsiasi argomento. Non perché sapesse tutto, per carità, ma perché studiava tutto, cosa che quasi nessuno più fa in tempi di precarietà anche cerebrale. Aveva il gusto della ricerca, Raffaele, e della polemica, ma in fondo mi è sempre sembrato un buon cristo (pardon) che doveva dimostrare quanto il mondo fosse infingardo, costretto egli stesso a dimostrare quanto era evidente ma gli negavano: che era un numero uno. La morte è crudele perché se la prende con i corpi ma non risparmia i cervelli, neanche quelli sublimi come il suo. Perché non ci sono dubbi che sia una perdita. E dovrei listare a lutto soprattutto la pagina delle lettere, memorabile per l’odore acre di polvere e sangue che sollevava con certe bordate, a volte di sciabola, a volte di fioretto, ma sempre con la sfida anche quando non ne era il caso. Ma uno Iorio è uno Iorio, non è che puoi stare a dirgli di esserlo a metà. Epperò alla fine la palude si squarciava. E anche i più timidi diventavano leoni in questa terra che ha sempre bisogno, e quanto ne ha bisogno, di uscire dalla siesta. Io ho amato molto Raffaele, come è stato evidente. Ma lo ho amato come si può amare una grande coscienza civile che attizza, combatte, provoca, offende ma tiene sveglio il mondo. Una grande seppur controversa coscienza per la quale qualcuno mi ha tolto il saluto ma per la quale valeva la pena pagare il prezzo di alcune divisioni, di alcune inimicizie, di alcuni perché sconcertati. Perché, signori, Raffaele era vita, come ci accorgeremo ora che ci ha lasciato. Ovunque tu sia, scrivici un’ultima lettera, Raffaele, non far sentire soli anche quelli che ti volevano in croce.
Lino Patruno
CHI ERA
Raffaele Iorio, 72 anni, «valdostano per caso» come si definiva e medievista trentennale nella redazione di «Quaderni Medievali» dell’Università di Bari, dove aveva iniziato l’attività scientifica come assistente alla cattedra di Archeologia cristiana. Iorio ha condotto e pubblicato campagne di scavo a Efeso (Turchia) e alla necropoli longobarda di Belmonte di Altamura. Ha collaborato con Giosuè Musca nella pubblicazione di «Ruggero II d’Altavilla» e con Francesco Tateo per la monarchia normanna della laterziana «Storia di Bari». Da un codice inedito dell’archivio di stato di Malta ha pubblicato «L’inchiesta di papa Gregorio IX sugli Ospedalieri della diocesi di Trani», nonché le relazioni su «Centri urbani nella Puglia medievale, Canne e Siponto» e su «Umanità disumana di Federico persona e personaggio», tenute in convegni internazionali. Animatore dell’associazione «Federico II» degli italiani nel Baden-Württenberg a Stoccarda, per la Società di Storia Patria per la Puglia (é stato presidente della Sezione di Barletta intitolata a Mons. Salvatore Santeramo) ha pubblicato nell’Archivio Storico Pugliese «L’urbanistica medievale di Bari tra X e XIII secolo» e «Ecclesia» e «civitas» barlettane nei documenti medievali. Per la serie «Ori di Puglia» è autore del volume «Quando sbarcavano i saraceni da Otranto a Vieste» e ha aperto la serie «Ori del Gargano» con il volume «I benedettini e lo splendore dell’anno mille». Da sette anni era titolare della rubrica di Storia sulla «Gazzetta del Mezzogiorno».
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno 14 febbraio 2007 L’addio a Raffaele IorioBarletta piange uno storico di grande valore e dalle coltissime intuizioni: i suoi studi hanno dato grande lustro alla città
Ci sono notizie che ti colpiscono come una folgore; ne resti profondamente scosso e ci vuole del tempo per capacitarti della loro ineluttabilità e per fartene una ragione. Così è accaduto quando ho saputo della scomparsa di Raffaele Iorio. Dopo i primi momenti di incredulità e sgomento, piano piano sono affiorati i ricordi e ho ripercorso l’itinerario di una intera esistenza, una lunga stagione collaborativa iniziata, pensate, 47 anni fa, quasi mezzo secolo. Fu infatti nel lontano 1960 che, come redattore del giornale della Fuci «Nuova Eco», avvicinai per la prima volta Ele Iorio, un esile giovanottino appena venticinquenne (era infatti del 1935) abitante in una casa popolare di via Rionero. A metterci in contatto, suo fratello Pasquale, fucino e dipendente ospedaliero. In quel numero egli esordì con un articolo titolato «Barletta ieri e oggi», un pezzo anticipativo delle sue qualità letterarie, dotato di uno stile giornalistico sobrio ed elegante, incisivo e a tratti immaginifico. Una collaborazione che si protrarrà intensa ancora su altre testate, per molti anni, fino ai nostri giorni. Ma quel che più mi preme, in questa rievocazione, è rammentare la sua barlettanità.
Anche se nato ad Aosta, infatti, egli trascorrerà i suoi anni giovanili a Barletta, città nella quale inizierà il suo tirocinio didattico insegnando presso la scuola media Manzoni, sotto la presidenza Laforgia. Anche se poi si è trasferito a Bari, unendo all’impegno scolastico quello di ricercatore archeologico, Iorio ha conservato un buon rapporto con la sua città, nella quale spesso tornava per tenere conferenze, soprattutto nei sei anni nei quali resse la presidenza della Sezione barlettana della Società di Storia Patria per la Puglia. Tra articoli, monografie e apporti convegnistici, ha lasciato alla città, sui suoi principali eventi storici, un vasto repertorio, non limitato ad una mera esposizione di fatti risaputi, ma rivisti in una chiave interpretativa nuova e originale. Prendiamo Canne, alla quale Iorio ha dedicato un gran numero di interventi e di pubblicazioni, a iniziare dal lontano 2 agosto del 1970, relatore presso il sito cannese; il 16 ottobre 1971 presso il Circolo Unione sull’aspra polemica relativa alla localizzazione della battaglia; e ancora presso il Circolo Unione nel 1996 sulla Canne medievale. Per non dire degli innumerevoli articoli e delle numerose pubblicazioni di alto profilo scientifico che sul celebre sito ci ha lasciato. E quanto all’originalità del suo apporto interpretativo su Canne, il suo maggiore merito è stato quello di aver armonizzato le opposte contrastanti tesi fra gli irriducibili autori di una Canne annibalica (come Carlo Ettore Borgia) e quelli di una Canne medievale (come l’attuale direttrice dell’Antiquarium, Marisa Corrente). Nell’antica diatriba, se Iorio non fa mistero di esprimere con forza il suo convincimento sulla medievalità del sito, tuttavia, pur restando nel suo convincimento, ammette che l’attrazione principale del sito non è nei suoi ritrovamenti medievali, ma nella sua annibalicità, e nella sua celebrata battaglia. Altro tema da lui prediletto, la figura di Federico II di Svevia, del quale Barletta conserva l’unico busto che ricostruisce attendibilmente i suoi connotati somatici. Sul grande sovrano ha scritto un gran numero di articoli per la Gazzetta, cogliendo sfaccettature fin qui inedite. Per quel che riguarda poi la relazione tra Barletta e Federico II, per lungo tempo in ombra, è a Iorio che dobbiamo principalmente la riscoperta del legame tra l’imperatore e la città; ricordandoci che proprio a Barletta organizzò numerose diete (assemblee) nelle quali si decisero i destini dell’Impero, come fu per l’organizzazione della VI Crociata.
* * *
Altro suo merito fu quello di approfondire e riscoprire la presenza degli ordini cavallereschi a Barletta, sui quali compì degli studi approfonditi (ci restano le relazioni sui «Quaderni Melitensi»). E ancora una volta le sue ricerche portarono all’importante scoperta che Barletta, nel Medioevo, era sede primaziale del Meridione delle domus templari e le sue sedi a Barletta erano ubicate presso l’antica chiesa di S. Maria Maddalena (oggi S. Domenico), e di S. Leonardo del Tempio, all’ingresso di via Trani (oggi distrutta). Notevole fu anche il suo contributo nella ricerca della storia della Cattedrale di Santa Maria, lumeggiato nel corso di un convegno organizzato da mons. Michele Seccia (giugno 1997), intervento anche questa volta ricco di notizie spesso inedite.
* * *
Molto vigorosa e decisa, anche la lettura da lui fatta della ricostruzione degli avvenimenti del settembre ’43, dove restano esemplari alcune pagine fortemente suggestive, come il suo indelebile ricordo di ragazzino, della mattina del 12 settembre, quando gli stukas tedeschi bombardarono la città. Mentre per alcuni avvenimenti storici cittadini la sua chiave di lettura è stata finalizzata ad una loro più documentata valorizzazione, solo per quanto riguarda la Disfida di Barletta, la sua interpretazione dei fatti del lontano 1503 è stata problematica, più orientato a considerarla come un fatto episodico, riduttivo rispetto alla più diffusa valutazione celebrativa. Raffaele Iorio non aveva un carattere facile, non era accomodante, ma drastico e netto nei giudizi, e questo deve aver contribuito a creargli numerosi “avversari ”, come spesso si evinceva dalla lettura di certe risposte risentite alle sue caustiche lettere sulla Gazzetta.
In ogni caso ci mancherà. Ci mancheranno le sue prese di posizione spigolose e irridenti, le sue chicche erudite, le sue impertinenti provocazioni, il suo enciclopedismo culturale, il suo pungente sarcasmo, ma anche la sua capacità di autoironia. Ci mancherà. Ma potrebbe anche rivivere attraverso i suoi scritti, attraverso una raccolta antologica dei suoi interventi più significativi sulla città. Ne uscirebbe un testo di storia straordinario per ricchezza di documentazione e piacevolezza narrativa.
Renato Russo
editore, storico - Barletta
Fonte: La Gazzetta del Nord Barese