È disponibile in tutte le principali librerie di Foggia e provincia il libro “Il compare del popolo. Memorie di un sindacalista rivoluzionario”, a cura di Enzo Pizzolo (edizioni Sudest, prezzo di copertina: 10 euro).
Il libro tratto dai diari di Marco Pizzolo, nato a Cerignola il 26 febbraio 1896, è incentrato sulle memorie e sulla partecipazione di Marco Pizzolo alla costruzione del sindaco in Puglia e sulla sua partecipazione ad una serie di eventi che hanno segnato la storia della Puglia e della Capitanata dalla fine dell’Ottocento ai primi anni Cinquanta del Novecento.
Dalle prime lotte bracciantili, alla nascita delle Leghe, alla costituzione della Cgil, alla resistenza alla dittatura nazifascita, il racconto di Marco Pizzolo offre un contributo e una testimonianza in “primo piano” ad eventi e fatti di notevole portata storica. I diari furono scritti dalle carceri di Lucera e Benevento dove Marco Pizzolo fu detenuto in seguito alla condanna per i fatti che determinarono la distruzione di Palazzo Cirillo a Cerignola. Per l’elenco completo delle librerie presso le quali è possibile acquistare il volume ci si può connettere all’indirizzo web (
http://www.sudest.info/elenco_edicole_e_librerie.htm).
Di seguito una breve scheda dell’opera
Dalle carceri di Benevento e Lucera Marco Pizzolo scrive le sue memorie. Trascrive a mano su una decina di piccoli quaderni eventi personali e storici che abbracciano oltre mezzo secolo, dalla sua nascita (26 febbraio 1896) fino al momento della definitiva scarcerazione dal carcere di Lucera il 6 marzo 1952. Il racconto si snoda in una serie di dati e di eventi che lo videro tra i protagonisti della costruzione della Cgil in Capitanata, assieme all’amico fraterno Giuseppe Di Vittorio, delle lotte per l’emancipazione dei lavoratori, della resistenza alla dittatura nazifascista, della costruzione della nuova civiltà democratica dopo la fine della seconda Guerra mondiale. E tocca punte di notevole intensità nella descrizione del processo per i fatti di Palazzo Cirillo del 1947. Sul finire del 1947, infatti, una congiuntura tra fatti nazionali ed eventi locali determinò gli avvenimenti in questione. L’eccidio di Portella della Ginestra, l’uccisione dei dirigenti sindacali siciliani, l’esplosione di una bomba a Milano, le difficoltà economiche e sociali, la miseria dei lavoratori di Cerignola, danno il quadro di una situazione divenuta esplosiva. Ne nacque una manifestazione spontanea che sfociò prima in uno sciopero e poi – come racconta la Gazzetta del Mezzogiorno – “nella devastazione delle sedi sezionali della D.C., della Democrazia del Lavoro, della Fuci, dell’Upsea, dell’Ufficio del Lavoro, ed il palazzo Cirillo (che secondo i proprietari, subì un danno di 100 milioni). Fu istruito procedimento penale, per vari reati, contro 114 dimostranti che – secondo l’accusa - avevano partecipato agli atti di violenza. Ne furono rinviati 37 alla Corte d’Assise di Lucera, la quale, con sentenza del 16 settembre 1949, ritenne Marco Pizzolo, Alfredo Di Molfetta, Francesco Prezioso, Donato Prezioso, Francesco Alboretti, Giuseppe Farrusi, Salvatore Lamanna, Raffaele Zambo, Ignazio Fucci, Giuseppe Rutigliano e Luigi Petruzzi, tutti di Cerignola, colpevoli di resistenza a pubblici ufficiali, devastazione e saccheggio continuato". In seguito a quegli eventi, la corte d’Assise di Lucera, il 16 settembre 1949, condannò Marco Pizzolo a 8 anni di reclusione (di cui condonati 2 anni e 8 mesi) per resistenza aggravata a pubblico ufficiale, devastazione e saccheggio continuato. Come dimostra il resoconto della Gazzetta del Mezzogiorno del 17 settembre 1949 (titolo: “I saccheggiatori di Cerignola”) il processo si svolge in un clima avvelenato dai fatti locali e nazionali e dalla divisione del mondo uscito dalla Seconda guerra mondiale in due blocchi e due ideologie contrapposte. Nelle tesi dell’accusa, i fatti del 1947 erano da considerare come atti di delinquenza, una vera e propria rivolta contro l’ordine democratico costituito. Insomma, secondo l’accusa, quegli eventi nulla avevano a che vedere con la povertà, la disoccupazione e la normale dialettica tra datori di lavoro e braccianti. Nonostante l’intervento difensivo dell’onorevole Gullo, Pizzolo e gli altri dieci imputati furono condannati”. Pizzolo e i dirigenti dell’epoca tentarono invano di dimostrare che non c’era nulla di preordinato. Le devastazioni non erano il frutto di un piano congegnato ma il risultato dell’esasperazione del popolo di Cerignola.
I quaderni di Marco Pizzolo, terminano proprio con il resoconto dettagliato della sentenza di Lucera. Marcuccio chiude così il racconto dalla Cella numero 2 delle Carceri Giudiziarie di Lucera, il 5 novembre 1951, spiegando che sta per esaurirsi la carta ed è in attesa del secondo grado di giudizio che si svolgerà a Bari il 6 marzo 1952.
La condanna nei confronti di Pizzolo fu ridotta a 6 anni di detenzione. Marcuccio fu scarcerato quella sera stessa.
La cifra del suo impegno è in un’onestà politica, intellettuale e morale che per la causa dei lavoratori lo vedranno patire con il carcere, il confino alle Isole Tremiti e Favignana nel periodo fascista, l’ingiusta detenzione a Benevento e Lucera in seguito ai fatti di Palazzo Cirillo nel 1947.
Qualche mese dopo l’uscita dal carcere di Lucera, l’amico Giuseppe Di Vittorio lo chiama accanto a sé, a Roma, prima con un incarico di responsabilità nell’ambito della Cgil nazionale, poi nella mansione di responsabile di “Villa Cicerone”, sede della scuola di formazione della Cgil. Marco Pizzolo muore circondato dai suoi cari a Cerignola il 13 dicembre 1963.
Le sue memorie, scritte per tramandare alle nuove generazioni il senso di un impegno continuo e sistematico alla causa dei lavoratori, le lotte e le conquiste ottenute pagando prezzi altissimi, sono rimaste patrimonio della sua famiglia fino ad oggi.