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Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

13/06/2007.  CANOSA - RELAZIONE DI PAOLO PINNELLI SU RAFFAELE IORIO PER LA IX SETTIMANA DELLA CULTURA.


Pubblichiamo la relazione integrale, svolta a Canosa per la recente IX edizione della Settimana della Cultura, dal giornalista Paolo Pinnelli, autorevole componente della Redazione di Barletta per la "Gazzetta del Nord Barese" e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Archeologica Canosina, sulla figura di Raffaele Iorio, lo storico scomparso a Bari nello scorso mese di febbraio, al quale é stata dedicata una Giornata di studi con la partecipazione di numerosi e qualificati interventui del mondo universitario e culturale pugliese.
Nella particolare circostanza, il collega Pinnelli ha partecipato anche il cordoglio del Direttore de "La Gazzetta del Mezzogiorno", LIno Patruno, per la lunga militanza dello scomparso Raffaele Iorio sulle pagine del quotidiano barese fra recensioni, articoli a tema e le famose "Lettere" nell'omonima rubrica.


Raffaele Iorio, la Puglia e Canosa
di Paolo Pinnelli


«Caro Direttore, purtroppo mio papà Raffaele lorio se ne è andato ieri notte a causa di un tumore alla colecisti. Fortunatamente, ha pagato dazio al dolore solo negli ultimi tre-quattro giorni, restando peraltro sempre lucido.
Finché ha potuto, ha continuato a leggere e scrivere: sabato notte mi ha dettato al telefono la sua ultima "Lettera al Direttore" e domenica mattina, quando l'ho visto per l'ultima volta, era impegnato a preparare il pezzo per la sua rubrica di sabato prossimo. A volte la malattia stravolge chi la subisce rendendolo un'altra persona: in questo caso, Raffaele è rimasto se stesso fino all'ultimo, con la "Gazzetta" in mente. Grazie a tutti.»
È questa la e-mail di Lorenzo Iorio con cui, il 13 febbraio 2007, abbiamo avuto notizia della scomparsa di Raffaele lorio, un nome che echeggia ancora oggi nelle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno. Echeggia con quel consueto frastuono e fragore che ha caratterizzato la vita anche giornalistica di Iorio.
Ma chi è Raffaele Iorio, anzi il prof. Iorio?
Settantadue anni, «valdostano per caso» come si definiva, e medievista trentennale nella redazione di «Quaderni Medievali» dell'Università di Bari, dove aveva iniziato l'attività scientifica come assistente alla cattedra di Archeologia cristiana. Iorio ha condotto e pubblicato campagne di scavo a Efeso (Turchia) e alla necropoli longobarda di Belmonte di Altamura.
Ha collaborato con Giosuè Musca nella pubblicazione di «Ruggero Il d'Altavilla» e con Francesco Tateo per la monarchia normanna della laterziana «Storia di Bari».
Da un codice inedito dell'archivio di stato di Malta ha pubblicato «L'inchiesta di papa Gregorio IX sugli Ospedalieri della diocesi di Trani», e le relazioni su «Centri urbani nella Puglia medievale, Canne e Siponto» e su «Umanità disumana di Federico persona e personaggio», tenute in convegni internazionali.
Animatore dell'associazione «Federico Il» degli italiani del Baden-Wurtteberg a Stoccarda, per la Società di Storia Patria – di cui per oltre sei anni (1977-2003) è stato presidente della sezione «illuminandone il corso – come ha scritto l’attuale presidente Pasquale Pedico - e restituendola a nuova vita l’istituzione» - ha pubblicato nell'Archivio Storico Pugliese «L'urbanistica medievale di Bari tra X e XIII secolo» e «Ecclesia» e «civitas» barlettane nei documenti medievali.
Per la serie «Ori di Puglia» è stato autore del volume «Quando sbarcavano i saraceni da Otranto a Vieste» e ha aperto la serie «Ori del Gargano» con il volume «I benedettini e lo splendore dell'anno mille». Da sette anni era titolare della rubrica di Storia sulla «Gazzetta del Mezzogiorno».
Ma chi era realmente Raffaele Iorio?
Per chi non ha avuto il piacere di conoscerlo personalmente, ma solo attraverso i suoi interventi, sarà sempre un istrione, un polemizzatore ed un «sapientone sapiente».
Già: un sapientone che dalla sua parte aveva la grande forza della cultura, rinvigorita da una vis polemica che lo ha sempre accompagnato.
Per ricostruire la sua storia ho cercato negli archivi elettronici del giornale, e senza nemmeno tanto sforzo, alla chiave «Iorio» mi sono ritrovato davanti ad una caterva di interventi tutti molto recenti a conferma di un’attività che lo ha caratterizzato ed accompagnato fino agli ultimi suoi giorni di vita.
Quel nefasto 13 febbraio, quando la morte ha sorpreso quell’instancabile personaggio, stavo scrivendo l’articolo sulla «tre giorni» di studi sulla storia di Canosa, «Canosa – Ricerche storiche 2007» che sarebbe iniziato il venerdì successivo.
Era già sera quando la notizia della morte di Iorio rimbalzò improvvisa in redazione e proprio mentre, passando l’elenco degli oratori, tra i quali mi onoravo di appartenere, verificavo che non vi fossero antipatici quanto inevitabili refusi.
E tra quegli oratori, stampati in un manifesto rosso, che campeggia ancora oggi nella redazione di Barletta della Gazzetta, c’era anche il nome del collega Raffaele Iorio.
Il prof. Iorio che parlerà della battaglia di Canne, il suo argomento preferito: chissà cosa accadrà!: questa era stata la più «normale» esclamazione dei colleghi e di quanti seguono le vicende del giornale.
Poi la notizia della morte, tra mille dubbi. In redazione a Bari, non ne sapevano nulla! Pochi attimi di sbandamento, una serie di verifiche «tutte barlettane», ed arrivò purtroppo la triste conferma: il professore non c’era più e non sarebbe stato tra i relatori del convegno.
Ho dovuto, a malincuore, correggere quell’articolo, ricordando che Raffaele Iorio non avrebbe potuto più parlare della sua Canne e di quella battaglia per la quale, al pari di altri argomenti, e forse più di altri argomenti, aveva «battagliato» e continua a «battagliare» anche da lassù, visto che proprio l’altro giorno la polemica sulla localizzazione della battaglia lo ha ancora una volta chiamato in causa.
E proprio in quella rubrica che, insieme alle pillole di storia, è diventa negli anni il suo luogo ideale oltre che l’agorà preferito di chi voleva divertirsi imparando o imparare divertendosi con la satira e la cultura che solo Iorio sapeva infondere anche in poche righe.
Già perché, come scrisse Lino Patrono (direttore della Gazzetta del Mezzogiorno) «che fosse un pozzo di scienza, neanche il suo peggior nemico potrebbe negarlo. Non perché sapesse tutto, per carità, ma perché studiava tutto, cosa che quasi nessuno più fa in tempi di precarietà anche cerebrale. Aveva il gusto della ricerca e della polemica, ma in fondo mi è sempre sembrato uno che doveva dimostrare quanto il mondo fosse infingardo, costretto egli stesso a dimostrare quanto era evidente ma gli negavano: che era un numero uno».
Oggi lo ricordiamo qui, in apertura della Settimana della cultura anche attraverso alcune lettere che sono riuscito a selezionare nel lungo elenco trovato degli archivi elettronici del giornale.
Ma ci pensate come sarebbe stato quel giorno di febbraio, quel 16 febbraio scorso, se la morte non lo avesse sorpreso?
Un giorno di sicuro memorabile.
Ed un’altra cosa è certa: Raffaele Iorio sarebbe arrivato puntualissimo. Perchè era fatto così. «Era ottobre del 2004 e bisognava inaugurare il nuovo Anno accademico dell’Università del tempo libero “S. Francesco d’Assisi” di Fasano di cui ero presidente neoeletta - scrisse Elena Irene Sansonetti in una delle tante lettere di addio al professore pubblicate dalla Gazzetta - Chi, se non il prof. Iorio potrebbe essere il relatore ufficiale della serata? Gli telefonai. Accettò immediatamente, precisandomi: “Come potrei non accogliere l’invito della Presidente di una grande Associazione di volontariato?” Concordammo l’argomento: “Il passato non passa”. Arrivò puntualissimo, sorridente, affabile, dimesso.».
Tante lettere descrivono il caratteraccio ma anche l’affabilità e la grande disponibilità di Iorio.
Tante lettere di addio come tante sono le lettere scritte da Iorio in questi anni, al punto che si sta avanzato da tempo l’idea di raccoglierle in una pubblicazione.
Raccogliendo l’idea del prof Giorgio, Mimmo Daloia, suo amico e lettore, ha scritto: «molti degli stessi lettori che lo hanno conosciuto tramite i suoi scritti hanno conosciuto una persona completamente diversa da quella che era nel privato e nelle amicizie. Se riuscivi, perché amico, a parlargli al telefono trovavi una persona umanissima capace di interrompere ogni cosa per intrattenersi con te come con la persona più importante del mondo».
E poi, l’idea: «realizzare una specie di antologia delle migliori lettere sue e dei frequentatori della rubrica. Iorio ha contribuito a creare una rubrica che non ha uguali in tutto il panorama giornalistico nazionale. E poi – continuava Daloia - ha inventato l’effetto polemica sotto la sapida regia del direttore Lino Patruno.
Ha inventato dei personaggi e lui stesso lo era e di primissima scelta. Risultato: sfido qualsiasi lettore della Gazzetta a dichiarare che la prima pagina che va a leggere non è quella delle lettere al direttore. Una audience grandissima».
Una sua amica scrisse, ricordandolo, che «amava sperimentare tutto con uno spirito critico che oscillava fra la garbata ironia e il sarcasmo più corrosivo, soprattutto rivolto alla Chiesa cattolica. Iorio ripeteva spesso che qualcuno per questo l’aveva definito il “piccolo Voltaire di provincia”. Eppure era profondamente innamorato di Gesù ed è stato grazie a Iorio che si sono toccati, sulle pagine della Gazzetta, temi spesso confinati solo in ambiti religiosi».
A proposito del suo rapporto con la religione, a dicembre scorso, Iorio aveva scritto un articolo dal titolo già esaustivo: «Difensori del Natale ma sapete il Natale cos’è?»
Eccone uno stralcio.
«Leggendo oggi (17/12) la significativa rubrica di Cultura popolare che, accogliendo i nostalgici sospiri di attempati cristiani per il Natale che fu, ne condivide, risentita, i rimpianti e le domestiche tenerezze, mi son chiesto se a distruggere il Natale, più che la deboscia dei tempi, non sia la liquorosa vaghezza di costoro.
Che, gratta gratta, non sanno, forse, nemmeno il Natale cos’è. Infatti, leggo, sarebbe nato Cristo. No, è nato Gesù.
Qual è la differenza? Anzi, egli fu «genitum non factum», cioè «generato, non creato», e «lumen de lumine» (luce da luce). Dice: che c’entra l’Enel? Infatti, c’entra il «Credo» di costoro.
Ancora: provate a chiedere se Gesù era ebreo, e come mai in nessuna delle raffigurazioni del Bambinello egli appare circonciso. Eccoli allora scendere, loro sì, dalle stelle.
I ragazzi sono disamorati? Provate allora a proporgli, invece della innocua melassa del giusto-del vero-del bello-del buono, l’enigma intrigante del Gesù vero.
Ho avuto la fortuna di non nascere in una famiglia cattolica ma con due nonni «Cri» e due «Giu» (cioè cristiani e giudei). Ebbene, le lunghe serate sotto le feste a sentire nonna Filomena accapigliarsi con nonna Esther sul Messia e su rabbi Yehoshua ben Yosef (Gesù figlio di Giuseppe) erano, per noi bambini, tra cartellate e cibo kasher, appassionanti come un match.
Pretendevamo, eccome, che il presepe lo si facesse. E lì davanti, puntando il dito su quel nordico bambino con boccoli biondi, le discussioni continuavano.
Finché, can tando tutti a squarciagola «Stille Nacht » (Astro del ciel, pargol divin), si andava a tavola per la tombola e la gran pappata.
Son forse oggi cambiati i tempi? Oggi abbiamo come interlocutori i musulmani. Visto, nella nostra sciapa ignoranza, che razza di difesa cretina del Presepe altoatesino hanno fatto i soliti cristianoni delle radici?
Non ha torto allora Corrado Augias a chiedersi, da fine ebreo, quale Gesù viene spiegato ai fedeli, se la maggior parte di loro risponde di preferirgli padre Pio e San Gennaro.
Cristiani natalizi, meno risentiti languori: studiate Gesù.»
Questo era Raffaele Iorio, il «God seeker», colui che andava alla ricerca di Dio.
In un intervento dal titolo «Turco e turchino (Raffaele Iorio - domenica 26 novembre 2006)», sull’opportunità dell’ingresso della Turchia nella Unione Europa, raccontò, alla sua maniera, «le cose turche» che non solo i turchi d’Oriente avevano fatto in Occidente.
Ecco cosa scrisse, tra l’altro.
«Quando i Turchi, mille anni fa, per la prima volta si af facciarono all’Europa, nessuno li riconobbe. Passati altri mille anni, le cose non sono mutate granché. Si pensi a come li definiamo: musulmani (anzi: mussulmani), islamici e maomettani. E, prima ancora, saraceni. E, ancor peggio, «gli infedeli». Insomma, arabi comunque.
Epperò, se algerini e indonesiani, nigeriani e iracheni son tutti musulmani, allora i musulmani stanno agli arabi come gli italiani ai pugliesi: tutti i pugliesi sono italiani, ma non tutti gli italiani sono pugliesi.
Perché dunque tanta con fusione? La risposta è in quel giacimento prezioso dell’eredità storica che sono le parole.
Se i capelli della fatina di Pinocchio sono turchini, era lei forse turca? E il divano (da diwân) e l’ottomana? O, prima ancora, la sultana? E le persiane? Se nella Grande Guerra l’Austriaco era l’impiccatore, il Turco era stato l’impalatore.
Certo, son cose turche; ma anche il cesso alla turca, e il parlar turco, o sedersi alla turca, e fumare e bestemmia re come un turco, ed essere usati come testa di turco. Per non dire degli «assassini» e dei «mammalucchi»; e del granoturco che, venuto dall’America, è detto così perché straniero ed esotico.
Insomma, tra paura e dissimulata fascinazione, la faccenda turca resta un gomitolo avvolto intorno al nucleo della ignoranza».
L’articolo prosegue con i puntuali riferimenti storici e si conclude con una frase molto bella: «Si può ignorare la storia, ma non sfuggirle».
Concludo così, rubandogli – ma solo per un attimo - questa frase, per giustificare questo momento di ricordo per il prof. Iorio: anche lui non ha potuto sfuggire alla storia né alla nostra attenzione.
Un uomo ed un collega che nonostante il suo riconosciuto caratteraccio spero da lassù abbia gradito questa sua biografia che ho cercato di rendere quanto più «Ioriana» possibile, fuori dagli schemi e senza remore né melassa. Ioriana, insomma: un neologismo che, al di là del tempo scandito dalle lancette, lo consegna, checchè ne voglia dire o protestare, anche da lassù, nella storia del nostro territorio e del nostro tempo.

Paolo Pinnelli
Giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno”










 

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