IL VIAGGIO/13. Il ricordo di morti insepolti e divorati da cani,
l'epitaffio della bella morte omerica, quella dei corpi profumati
L'inferno di Canne, la strage
e l'epifania di una morte sconcia
dal nostro inviato PAOLO RUMIZ
VENTO e praterie. Lontano, lo scintillio dell'Ofanto e la striscia del mare davanti al Gargano. Non vedo che questo, mentre risaliamo a piedi la vecchia ferrovia Barletta-Canosa-Minervino. Nient'altro che vento, cicale, e il nostro "paso doble" sulle traversine. E poi ancora silenzio, ulivi, filari di vigne come eserciti, sudore, respiro pesante, sete. Intorno, solitarie masserie dai nomi incompatibili col sole libico che ci sovrasta: Maltempo, Epitaffio, Lamacupa.
Canne va raggiunta così, controvento, lontano dalle grandi strade, col sole di mezza estate allo zenith, nella controra quando l'ombra è pesante, i fantasmi escono come a mezzanotte, e i trapassati - come temeva Pitagora - si arrampicano per le radici delle fave. Caldo tremendo: come quel 2 agosto 186 avanti Cristo, quando in un pomeriggio il generale Annibale distrusse otto legioni.
"Guardati da questa bellezza" esala esausto Giovanni Brizzi. Non è solo la sete che gli abbassa la voce; è l'emozione. Della battaglia sa tutto, ma per lui ogni volta è come la prima. Ci sediamo nel cono d'ombra della stazioncina "Canne della Battaglia", magnifica nel suo rosso pompeiano d'ordinanza. Sopra di noi rotea un falco. Il luogo dell'ecatombe è davanti a noi, chiuso fra la vecchia linea e una barriera di colli sui sessanta metri...
continua>>>
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