Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto
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31/08/2005. Condanna a morte per la tomba della Medusa.
GIULIANO VOLPE
Si è calcolato che siano stati oltre 200.000 reperti archeologici trafugati nell'ultimo ventennio ad Arpi, il principale e più esteso centro della Daunia preromana posto a pochi chilometri da Foggia. Avrebbe dovuto rappresentare il simbolo della rivincita dell'archeologia «ufficiale» sullo scavo clandestino e sul commercio illegale di oggetti archeologici che ha avuto per anni in Arpi uno dei suo bacini di approvvigionamento privilegiati: era questa la volontà di Marina Mazzei, la brava e attiva archeologa della Soprintendenza, che allo studio e alla tutela del patrimonio archeologico della Daunia ha dedicato tutta la sua vita prematuramente interrotta nell'agosto 2004 e che ad Arpi aveva riservato un'attenzione particolare. Marina Mazzei aveva, infatti, scelto la Tomba della Medusa come primo nucleo del parco archeologico di Arpi, per l'indubbia straordinarietà del monumento funerario, appartenuto ad una ricca e colta famiglia del III secolo a.C., espressione dell'alto livello raggiunto dall'architettura e dall'artigianato artistico promossi dall'aristocrazia arpana, sotto la forte influenza della cultura greca e specificamente macedone di età ellenistica. La scelta aveva un forte significato anche nell'ambito della lotta allo scavo clandestino, ai «tombaroli», al collezionismo illegale, che doveva avere il suo simbolo più evidente proprio nella valorizzazione di questo ipogeo, non a caso presente con un posto di rilievo nella mostra e nell'efficace libro-denuncia del 1996, destinati soprattutto al pubblico straniero, Provenienza: sconosciuta! Tombaroli, mercanti e collezionisti: l'Italia archeologica allo sbaraglio (ed. Edipuglia, Bari). È diventata ora invece il simbolo della sconfitta, dell'abbandono, del degrado, della vergogna cui nessuno può sottrarsi. È una vicenda tutta emblematicamente italiana quella della scoperta e del tentativo di valorizzazione della Tomba della Medusa. Una vicenda che vale la pena ripercorrere, anche perché si commenta da sola (come ha fatto molto bene ieri Filippo Santigliano in un documentato articolo sulle pagine della Capitanata della «Gazzetta»). Individuata nel 1980 dai «tombaroli», la tomba fu completamente saccheggiata: i fori nelle volte delle celle sono ancora lì a conservare memoria della profanazione. Gli scavatori clandestini, dopo averla svuotata dei pregevoli corredi, finiti in chissà quale collezione privata o museo straniero, tornarono all'opera nel 1984, questa volta con un escavatore meccanico, distruggendo la copertura del vestibolo e riuscendo a trafugare il frontone con la raffigurazione della Medusa, che ha dato il nome all'ipogeo, e i capitelli figurati. La gorgone con i serpenti per capelli non riuscì in quel caso a salvare la tomba, pietrificando col suo sguardo i clandestini che l'avevano violata, ma evidentemente non si rassegnò a essere allontanata dalla sepoltura di cui era stata posta a guardia, visto che, in maniera assolutamente fortuita e fortunata, in seguito ad un casuale controllo stradale della polizia, i pezzi architettonici rubati furono recuperati su un camion diretto a Napoli. Dal 1989 iniziarono i lavori di scavo e di recupero, che riguardò anche le vicine Tombe del Ganimede e delle Anfore, da parte della Soprintendenza Archeologica, con la direzione di Marina Mazzei. La Tomba della Medusa, per la sua eccezionalità, conquistò l'interesse degli studiosi a livello internazionale e anche degli appassionati, in particolare grazie alla edizione completa del monumento con un'importante monografia nel 1995 (Arpi, L'ipogeo della Medusa, Edipuglia, Bari) e ad una bella mostra a Foggia, visitata da migliaia di persone. Contemporaneamente all'indagine archeologica si avviarono le procedure di tutela e valorizzazione. Inizialmente la soluzione, estremamente intelligente e innovativa, parve essere legata all'interessamento della Società Autostrade, che incluse la tomba arpana tra le «fermate culturali», vista la sua collocazione strategica a pochi metri dal tracciato autostradale a nord di Foggia. Purtroppo non se ne fece nulla, ma la Società Autostrade donò il progetto di sistemazione al Comune di Foggia, che nel 1994, dopo la soluzione di problemi procedurali e l'adeguamento del progetto da parte dell'arch. Francesco Visalli della Tecnarte di Roma, presentò una richiesta di finanziamento nel quadro dei POP. Nel 1998 la Regione Puglia stanziò 3 miliardi di lire, cui si aggiunse un contributo di 555 milioni del Comune. E da questo momento inizia una lunga trafila. Nel 1999 i lavori, con la direzione dell'arch. Nazareno Gabrieli, vengono affidati a una Associazione temporanea d'impresa (ATI), con capofila la Costruzioni Sud srl di Paolo Tonti, dopo la rinuncia della ditta vincitrice della gara. Comincia presto un contenzioso senza fine, e con esso le perizie di variante, anche a seguito della revoca del nulla osta da parte della Soprintendenza che intravede rischi per l'incolumità della Tomba del Ganimede a causa delle fondazioni della struttura in cemento, effettivamente eccessiva, destinata a coprire la Tomba della Medusa. Si arriva così alla sospensione dei lavori nel luglio 2002 a seguito dell'ennesima richiesta di revisione prezzi. Nel giugno 2003 il Comune rescinde il contratto a causa dei ritardi nei lavori, ma per errori formali la rescissione viene annullata. Nel frattempo una ditta fallisce, mentre l'altra impresa coinvolta nei lavori dichiara la disponibilità a portare a termine l'opera, previo aggiornamento dei prezzi. Dopo di che lo stallo. Il paradosso in questa storia sta nel fatto che i soldi non sembrano aver costituito un problema, come spesso si pensa: ancora recentemente sono stati assegnati al parco archeologico della Medusa oltre un milione e mezzo di euro nel quadro dell'Accordo di Programma tra Regione Puglia e Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Intanto il cantiere risulta del tutto abbandonato e comincia l'ultima fase, quella più triste e drammatica, dell'intera vicenda: la recinzione è divelta, le strutture del cantiere vengono progressivamente smontate e rubate: tubi, impalcature, pannelli, addirittura il capannino prefabbricato utilizzato dagli operai come spogliatoio e magazzino. Quella specie di «sarcofago» di cemento costruito al di sopra della tomba daunia, visibile dagli automobilisti che percorrono l'A14 a nord di Foggia, rimasto privo della prevista copertura, si trasforma in una sorta di imbuto che raccoglie le acque piovane, particolarmente abbondanti negli ultimi anni. La struttura ipogeica si va indebolendo e il «sarcofago» rischia di trasformarsi nella tomba moderna della tomba antica. A questo danno si aggiungono poi gli atti di vandalismo che sempre si manifestano in situazioni di abbandono: le colonne del vestibolo sono state abbattute, una base è stata rubata. E così anche gli effetti benefici dei lavori di restauro della struttura architettonica, degli affreschi, dei mosaici a ciottoli, condotti dal 1999 con la direzione della Soprintendenza, per un costo di 568 milioni di lire, risultano ormai quasi del tutto annullati. Non è forse un caso, inoltre, che negli ultimi mesi si vada assistendo ad Arpi anche ad una nuova escalation degli scavi clandestini, fino a pochi anni fa fortemente ridimensionati grazie all'attiva presenza archeologica sul campo, che sempre costituisce il miglior antidoto contro i «tombaroli»: «gettare la spugna» rappresenta un segnale troppo chiaro per gente senza scrupoli, che aspetta solo un disimpegno dello Stato per sviluppare le proprie attività illegali che garantiscono loro ingenti profitti e alla comunità il depauperamento del patrimonio comune. Cosa fare ora? È necessario cercare soluzioni urgenti per salvare un importante monumento dalla sicura distruzione, superando l'attuale stato di immobilismo e quel senso di impotenza kafkiano prodotto dalla palude delle lungaggini amministrative «normali», anche, se necessario, invocando interventi straordinari del prefetto o della magistratura. Pur avendo ben presenti i forti limiti della struttura museale a suo tempo progettata e in parte realizzata, troppo pesante e invasiva, che (è bene sottolinearlo) la stessa Mazzei aveva dovuto accettare come unica soluzione praticabile per garantire una protezione e una sistemazione al monumento archeologico, è necessario urgentemente portare a termine i lavori. Altrimenti sarebbe tanto meglio rimettere tutto sotto terra, in attesa di tempi migliori. Purtroppo, però, quella della Tomba della Medusa è solo la punta dell'iceberg di uno stato generalizzato di difficoltà dei beni culturali nel nostro paese e in particolare in Daunia, che continuano a restare la cenerentola della politica italiana, con risorse sempre più ridotte e con periodici tentativi di dismissione. La vicenda della Tomba della Medusa sollecita l'auspicio che il neopresidente della Regione Nichi Vendola voglia considerare i Beni Culturali un settore strategico della politica regionale, anche grazie al ruolo significativo che nel campo è attribuito alle Regioni, investendo, con programmi seri, qualificati e di ampio respiro, sul patrimonio culturale, una delle poche vere risorse di questo territorio.