Figli indesiderati, abbandonati nella «ruota» degli esposti per le difficoltà economiche, «marchiati» col piombo al collo.
Storie di infanzia negata soprattutto nell'Ottocento, coperte dal silenzio nei testi di storiografia locale. A far luce su un fenomeno sociale immerso nella polvere degli archivi è stata Silvia Valente con un interessante lavoro di ricerca intitolato: «Storie di infanzia ed abbandono a Bisceglie nel XIX secolo» (tesi di laurea in storia moderna presso la facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bari).
Oltre ad essere un'analisi approfondita sul tema dell'abbandono dei bambini, lo studio è anche un utile inventario di fonti inedite. «Nel clima di estrema disperazione e di miseria, non c'era spazio per i colori dell'infanzia - scrive Valente - bambini scomodi, venuti al mondo nel momento sbagliato, figli della fame, di una malattia, della violenza o di un tradimento, figli di una madre e di un padre ai limiti di una vita dignitosa o di una fuga nascosta, insomma figli abbandonati». I bambini venivano abbandonati solitamente in luoghi centrali. Nei secoli addietro per cercare di far fronte a questo problema Papa Innocenzo III introdusse a Roma «la ruota» per evitare che gli infanti fossero gettati nel letame o nel Tevere. Nell'800 a Bisceglie la «ruota dei projetti» funzionava nella «strada ospedale». La ruota diventò mezzo legale dell'abbandono. Le creature erano considerate dei pesi, non avevano un valore sociale e morale, ma solo un valore economico: erano un aggravio per le tasche delle famiglie e per quelle statali dopo l'esposizione e, paradossalmente, una fonte di danaro per le nutrici. E' curioso, infatti, il caso di frode (scoperto dal sindaco di Corato nel 1880 e sfociato poi nella condanna dei responsabili) che vide coinvolti anche i comuni di Bisceglie e Barletta, messo in atto da balie e pie ricevitrici, le quali, illegalmente, provvedevano ad iscrivere uno stesso bambino in diversi comuni, con l'intento di carpire più rette mensili. Il comune di Corato, per evitare ciò, fece coniare una medaglia di piombo, che doveva essere fatta indossare ad ogni proietto in modo che non potesse essere tolta ed ogni balia aveva, quindi, l'obbligo di mostrarla al momento della riscossione del mensile.
L’articolo sulla Gazzetta del Nord Barese di venerdì 18 settembre 2009