Matteotti e Di Vagno: fra storia e memoria (come recita il titolo) fuori dalla mostra nella galleria del Curci resta proprio quella lapide dedicato a Di Vagno di cui parlerò, che a Barletta avrebbe giustificato molto di più la scelta di tenere proprio nella nostra città l’esposizione tenuta a battesimo dalla Fondazione col patrocinio del Comune. Perché quest’amnesia?
Se generalmente le lapidi possono essere paragonate alle pagine di pietra di un immaginario giornale della storia sui muri cittadini proprio come il giornale di carta dal quale mi sto rivolgendo ai Lettori della Gazzetta, quella lapide in memoria di Di Vagno è per se stessa davvero un gran documento. Un testo che oggi appare datato, ma ricco di contenuti e di infervorato slancio, se volete, rivoluzionario, con l’uso di una particolare espressione nella firma finale (il proletariato di Barletta) tanto forte nel passato quanto oggi purtroppo desueta perfino nel linguaggio dei nostri politici. Ma oltre che politico, è anche un documento epigrafico di assoluto valore artistico ed estetico nella sua asciutta ma elegante bellezza marmorea, considerando come su quella lapide la mano di un ignoto scalpellino ha riportato (unico esempio di messaggio per immagini del tempo) la falce ed il martello, un libro ed un grande mazzo di spighe, ovvero tutta intera la simbologia di quelle masse contadine che si riconoscevano appunto nella figura e nell’azione politica di Giuseppe Di Vagno. Quando venne il fascismo di lì a qualche anno, questa lapide restò dov’é.
Più vicina ai nostri giorni, in omaggio a Giacomo Matteotti, martire socialdemocratico dell’assassinio fascista, vi è invece un altro monumento di marmo che il compianto senatore Cesare Dante Cioce volle nei giardini di viale Giannone, nell’area prossima al Circolo Unione: un semplice blocco di pietra con incisi su nome e frase commemorativa, che subì anche un attacco vandalico a base di vernice spray. L’attuale risistemazione dei giardini per il mega-progetto in corso d’opera mi impedisce in questo caso di attestarne l’esistenza e lo stato di conservazione di questo cippo: speriamo che a fine lavori rispunti fuori insieme ad altre “rimembranze” tuttora invisibili…
Come si rileva nelle foto da me scattate e cortesemente pubblicate su queste colonne a corredo del mio intervento, la lapide a Di Vagno non è fuori dalla vista di nessuno, essendo sempre stata nel luogo preciso in cui fu murata negli anni Venti, cioé all’angolo fra via Geremia Di Scanno e corso Garibaldi. Ma purtroppo essa fa parte di quel patrimonio storico “a vista” che sicuramente non passa inosservato a chi se ne vuole ancora occupare, e ci sono tantissimi casi del genere a Barletta (facciamo un concorso a premi?) mentre sfugge apparentemente a chi ci dovrebbe fare più caso di tutti gli altri, organizzatori di mostre compresi alle prese proprio con la… memoria!
Nella serata inaugurale, ho fatto personalmente presente al sindaco Salerno la svista nella omessa citazione di quella lapide nell’esposizione che beneficia anche dell’alto patronato del Quirinale, ricavando in cambio dal primo cittadino la dovuta attenzione, la curiosità ma soprattutto l’impegno (verbale) a restaurare quella lapide quanto prima. Idem ho potuto fare con l’avvocato Gianvito Mastroleo, infaticabile promotore della Fondazione che si richiama ai personaggi storici del socialismo pugliesi. Grazie in anticipo ad entrambi.
Nino VinellaGiornalista
Barletta, 23 novembre 2005Clicca qui per visionare l'articolo pubblicato dalla Gazzetta del Nord Barese il 22/12/2005