di TULLIA FABIANIDagli stage al co.co.pro. i giovani volontari cercano sempre più occasioni di occupazione. Don Albanesi: "I ragazzi sono ossessionati dal futuro"
Un giovane volontario a Torino E adesso anche il volontariato si adegua: prende le forme della generazione stage e "co. co. pro.". Non che non si possa più parlare di solidarietà, sensibilità, generosità; i tantissimi giovani impegnati nel volontariato ne hanno in abbondanza. Ma sono le forme del servizio, appunto, a mutare. Anzi, per dirla meglio, sono i tempi a non essere "quelli di una volta". L'esperienza del volontariato per i ventenni di oggi, infatti, passa spesso dalle porte delle scuole, del servizio civile o da quelle delle università (che organizzano tirocini e li valutano come crediti formativi), per poi diventare possibile occasione di lavoro.
"C'è chi parla di crisi, molte organizzazioni lo fanno - racconta Marco Caselli, sociologo dell'Università Cattolica di Milano -. Noi possiamo parlare di una tendenza consolidata: i giovani fanno volontariato, ma non appena mettono su famiglia o trovano un lavoro l'esperienza viene abbandonata. Non si tratta di deperimento del valore, ma di meno disponibilità di tempo".
L'impressione non è casuale, ma frutto di un'indagine realizzata da dieci università italiane (Calabria, Milano Cattolica, Molise, Padova, Palermo, Pisa, Siena, Teramo, Torino e Trento) sugli "adulti giovani" in Italia e i cui principali risultati sono stati pubblicati recentemente (Ricomporre la vita. Gli adulti giovani in Italia, Carocci, a cura di V. Cesareo). "Quella degli adulti giovani, tra i 25 e i 39 anni, è una fascia cruciale e anche piuttosto critica, almeno per quel che riguarda il volontariato - spiega Caselli - ma studiarla ci ha consentito di avere una visione retrospettiva sul fenomeno".
Tre persone su dieci (30,6%) hanno dichiarato di aver fatto volontariato e il 51,4 per cento di questi attribuisce grande importanza per la sua vita attuale a questa esperienza. Prendendo però in considerazione il dato anagrafico si nota che all'aumentare dell'età aumenta il numero di quanti dichiarano che non farebbero mai, o non continuerebbero a fare, volontariato: sono il 7,7% per i soggetti di età compresa fra i 25 e i 29 anni, il 9,3% per quelli fra i 30 e i 34 anni e il 9,9% per quelli fra 35 e 39 anni. Certo non sono percentuali altissime, ma "sono il segnale di una possibile inversione di tendenza" e della partecipazione temporanea dei più giovani.
"La problematicità che sembra caratterizzare oggi il rapporto tra giovani e volontariato - sottolinea il sociologo - è legata alla possibilità di riprodurre nel tempo una serie di attività essenziali per l'integrazione e il benessere della società". In altre parole anche il volontariato subisce i colpi del precariato. Rimangono il desiderio di rendersi utili e di aiutare chi ha bisogno; la voglia di mettersi alla prova; di socializzare con altri coetanei; ma la visione di medio lungo termine lascia il posto a quella transitoria e s'impoverisce l'obiettivo di militanza sociale, più familiare forse ai volontari oggi vicini agli "anta".
"Venti o trenta anni non si era così ossessionati dalla ricerca del lavoro - dichiara Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco - invece i ragazzi oggi sono ossessionati dal futuro. Fanno volontariato fino alla scuola media superiore, poi all'università rallentano. E si tratta di un volontariato ambiguo, che diventa preludio al lavoro perché non ci si può permettere di avere tempo libero". L'ossessione è "creare competenze e rapporti spendibili a livello professionale": l'elemento della gratuità assoluta pare un po' messo tra parentesi, all'interno di un discorso molto complesso in cui si combinano servizio e interesse personale.
"Il volontariato puro si trova sempre meno - commenta Antonio Raimondo, presidente del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo) -. I giovani hanno una propensione alla solidarietà, a dedicarsi agli altri, ma sono disposti a fare volontariato fino a un certo punto e poi non più, perché vogliono lavorare. Il problema del lavoro è un problema serio: è sbagliato parlare di tempo libero. Il tempo libero non esiste - sostiene Raimondo - esiste il tempo liberato, ovvero ci si libera del tempo che è impegnato per fare volontariato. E poi bisogna fare una distinzione tra volontariato sociale, con una configurazione più tradizionale, e quello internazionale, che è il nostro caso. Non c'è dubbio, in particolare per quello sociale, che il boom degli anni '80-'90 sta finendo e questo dipende anche dalla crisi economica che attraversa la società. Quando c'è meno ricchezza e le famiglie, come adesso, non ce la fanno a tirare avanti, il margine per fare volontariato si restringe".
Allora per i giovani, volontariato si tradurrà necessariamente in ricerca di lavoro? "Sembra proprio di sì - risponde Suor Giuse, responsabile dei volontari Caritas a Roma -. Il lavoro nell'ambito sociale è molto richiesto dai ragazzi, ne conosco tanti che vengono qui a fare tirocini con la speranza che poi si apra qualche possibilità. Ma le risorse sono poche". E ciò che si può offrire spesso è solo un'esperienza di volontariato "vecchio stile": spontaneo e gratuito. Ai ragazzi la scelta.
Fonte: Repubblica.it 8 dicembre 2005