Giovanni III dei Caracciolo è asserragliato nel suo Castello e giammai cederà agli invasori francesi.
La sua capitolazione varrebbe la resa di una intera città, Melfi, e l'inizio di un'era di terrore e soprusi. Il castello è ben difeso, le guarnigioni spagnole a guardia potrebbero reggere anche ad un lungo assedio e la posizione favorevole del maschio del castello permetterebbe anche la più strenua delle difese se anche il nemico riuscisse nell'impresa di attraversare la porta venosina e penetrare nelle mura, evento disdicevole quanto impossibile. Ma il giorno di Pasqua è giorno di certezze deluse, i francesi di Odet de Foix con l'apporto dei famigerate Bande Nere, il più scelto tra i corpi di assedio all'arma bianca, di monsieur Baglioni decidono di utilizzare le macchine da guerra.
Colubrine esplodenti colpi infuocati, colpi d'assedio, le più raffinate tattiche d'assedio e l'indomito valore degli attaccanti ha ragione delle difese alla porta, e a città ormai conquistata compino l'impresa perfetto dell'assedio e conquista del castello con capitolazione del principe Giovanni. Succede anche questo, in Melfi, nel 1528. Quasi 500 anni or sono assedi, battaglie, spade, elmi, scudi erano possibilità all'ordine del giorno, pronte a violare la pur dura vita cittadina. Melfi l'affrontò con onore, in quella che fu definita la "Pasqua di sangue" (la maggior parte degli abitanti fu trucidata dai francesi), ma ne uscì sconfitta. Una pagina di storia, che ogni anno viene rievocata dalla pro loco cittadina.
Anche quest'anno, la nota associazione barlettana, "Associazione Culturale Bardulos", organizza e gestisce i propri cavalieri (veri atleti, allenati all'uso dello spadone a due mani, all'arma da mischia e scuda, e alla lancia d'assedio) rievocando quella battaglia, sia da lato francese che da quello spagnolo, altre a "vivere" un vero e proprio accampamento rinascimentale, costruito con tecniche ormai dimenticate e dall'effetto visivo notevole ed evocativo.
La battaglia finale, con l'ausilio di altri gruppi di pari nazionale livello (abbiamo visto i Trombonieri di Cava dei Tirreni, sbandieratori e musici di Firenze, altri gruppi locali) è stata di effetto altamente evocativo, come se si stesse osservando un film, con gruppi di più di venti combattenti in uno spazio ristretto - la lingua di congiunzione del castello con la città - che davano battaglia senza risparmiarsi in un tripudio di suoni metallici, colpi di mazze chiodate verso legnosi scudi, affondi di lancia sapientemente schivati. L'insieme era emozionante e non concedeva di distogliere lo sguardo. Alla fine di tutto, con gruppi di cavalieri a terra ormai sconfitti, effetto scenico finale con fuochi pirici, e simulare l'incendio che al tempo fu dato al castello e alla città conquistata.
Pura emozione vissuta dagli abitanti di Melfi, che hanno con applausi e grida di approvazione, accompagnato l'uscita degli "eroici" cavalieri vittoriosi di Barletta, al rientro verso il loro accampamento. Dopo cotanta battaglia, hanno anche loro riposato, come erano soliti all'antichità: spada al fianco, erba sotto di loro e se avevano ventura di essere sotto una tenda anche un po' di calore, altrimenti le stelle a ricordare loro quanto la vita del soldato potesse essere dura. Barletta viene conosciuta anche per questo in Italia, seppur in maniera silenziosa al suo interno (sed nemo propheta in patria est), ma fragorosa nella nazione, almeno secondo gli applausi del volgo tutto.
Bravi ragazzi, ad maiora.
MARIO SCULCO
Per gentile concessione di "BarlettaLife"
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Nell'immagine, il Castello di Melfi