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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

10/10/2010.  STORIA PATRIA - 24 MAGGIO 1915: IL SACRIFICIO DEL CACCIATORPEDINIERE "TURBINE" PER BARLETTA.

A Barletta è l'alba del 24 maggio 1915. E piove. I giornali titolano l'ingresso dell'Italia nella grande guerra, ma nessuno sembra ancora percepirne il reale pericolo. Neppure quando una unità da battaglia austriaca, l'Helgoland (3500 tonnellate di stazza, armata di 12 cannoni da 105mm) si avvicina a poco più di 700 metri dall'imboccatura del porto.


Passano solo pochi minuti, la nave si traversa e fa fuoco. I proiettili sibilano nel silenzio di una città ancora immobile e vanno a segno, esplodono prima alcuni carri ferroviari nella stazione marittima, poi sono colpiti degli edifici nei pressi della cattedrale, quindi, il castello dove rimangono molti soldati e bersaglieri. Suona l'allarme, si approntano le difese, immediatamente parte un dispaccio telegrafico per il Comando Marina a Roma.


Gli austriaci stanno portando una offensiva in tutto l'Adriatico centrale, ma Barletta è la prima città ad essere colpita, più che un attacco si tratta di una azione dimostrativa. A pattugliare il Golfo di Manfredonia ci sono due nostri cacciatorpedinieri, l'Aquilone e il Turbine, in quel momento è il più vicino all'incrociatore austriaco.


Al comando della nave italiana, il capitano di corvetta, Luigi Bianchi, genovese, classe 1873, che chiama a raccolta i suoi e mentre il Turbine fa rotta su Barletta li arringa: «Io spero di non mancare al mio dovere di capo se, però, ciò avvenisse chiunque di voi sarà autorizzato a spararmi. Io farò lo stesso contro chi che per avventura mancasse al proprio». L'equipaggio risponde con un triplice hurra!


Da lontano, all'orizzonte, già appare l'Helgoland, l'incrociatore è più potente e meglio armato dell'unità italiana. Davide contro Golia. Bianchi lo sa, ma non esita a ingaggiare battaglia. Dopo i primi scambi di bordate il Turbine lentamente ripiega verso il largo lasciandosi inseguire dal nemico, il piano è portarlo in trappola verso le Tremiti dove dovrebbero esserci altre unità tricolore (tra cui il Libia che aveva tentato una sortita nell'isola di Pelagosa).


L'Helgoland inizia l'inseguimento. Barletta è salva. Il cacciatorpediniere fa rotta verso il Gargano, è più veloce di almeno tre miglia e sfrutta abilmente il vantaggio rimanendo poche centinaia di metri dalla portata dei cannoni austriaci. L'euforia dura poco, nei pressi ecco altre due navi nemiche, il Cspel e il Tatra (1200 tonnellate, due cannoni da 105 mm e 6 da 66) appena varate. Bianchi in cuor suo sa di essere in trappola, ma decide di vendere cara la pelle.


La battaglia infuria senza esclusione di colpi il Turbine è circondato, procede a zig zag per evitare i colpi che arrivano da ogni parte. Neppure può ripiegare verso terra perché l'Helgoland e una quarta nave l'Orjen gli sbarrano il cammino.


Lo scontro avviene a meno di due miglia dalla città di Vieste, gli abitanti sono tutti assiepati sul lungomare assistono - da quella che poi verrà chiamata Via del Turbine in onore di quei marinai italiani impotenti a quel tiro al bersaglio.


L'antenna radio continua a diramare l'Sos senza ottenere risposta. Alle 5.30 un altro fumaiolo nero all'orizzonte, possono essere i rinforzi, forse è l'Aquilone. No. Il destino è crudele si tratta del cacciatorpediniere nemico Lika che completa l'accerchiamento e a sua volta apre il fuoco. La nave italiana è ripetutamente colpita, molti uomini cadono dalle fiancate, anche Bianchi è ferito alla testa. Le munizioni stanno per finire, rimangono gli ultimi venti colpi, ma il comandante incita i suoi a resistere e ordina di forzare il blocco. Il Turbine si lancia in uno stretto corridoio di mare tra due navi nemiche sparando all'impazzata dalle batterie di prua, ma una forte detonazione rallenta la corsa, la caldaia di prora è stata colpita, i motori cessa di battere.


Il cacciatorpediniere Cspel si avvicina a tutta forza, intima la resa agli italiani, vuole catturare la nave. Bianchi non ci sta. «Le valvole, le valvole», urla e l'equipaggio comprende che è il sacrificio estremo. I kinston della nave vengono aperti, il Turbine imbarca acqua e si allaga piegandosi su un lato. I superstiti si schierano sul ponte di coperta, Bianchi ordina l'ultimo saluto alla bandiera, e allâÂ?Â?unisono gli uomini gridano: «Viva l'Italia, viva il Re!». Non c'e' più tempo.


Mentre il nemico continua a sparare viene messa in acqua una scialuppa per ospitare i feriti, poi si imbarcano i superstiti. L'unico a rimanere a bordo è Bianchi, non vuole abbandonare la nave a cui mancano solo pochi minuti di vita, dalle lance lo incitano a tuffarsi. «Comandante abbandoni la nave!», ma egli è irremovibile.


Il capo timoniere conosce quell'uomo meglio di chiunque altro, sa che si lascerà morire, e allora si tuffa, si arrampica sulle lamiere che stanno per essere inghiottite dai flutti, lo raggiunge e lo abbranca lanciandosi in mare con lui. Un enorme gorgo inghiotte il Turbine portandolo negli abissi. Di lì a poco all'orizzonte appare il Libia che mette in fuga il nemico, ma troppo tardi.


NICOLO' CARNIMEO


Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno Domenica 10 ottobre 2010


Nelle immagini


il cacciatorpedniere Turbini (foto d'archivio)


Nicolò Carnimeo, a destra, col nostro Direttore Nino Vinella (Foto esclusiva La Gazzetta dell'Archeologia on line)



Leggi l'articolo di NICOLO' CARNIMEO pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno Domenica 10 ottobre 2010.



 

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