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13/01/2006.  Potenza - «Magie d'ambra» in mostra.

Amuleti e gioielli della Basilicata antica, allestiti presso il Museo Archeologico Nazionale, risalenti all’VIII e IV secolo a.C. e ambre grezze dalle collezioni italiane

Narra Ovidio nelle «Metamorfosi» che Fetonte, figlio del Sole, attraversando il cielo con il carro di suo padre, fu fulminato da Zeus poichè stava rischiando di ardere la terra. Fetonte morì precipitando sulla terra: le Elidi, sorelle dell’eroe trasformate in alberi dal dolore, ne piansero la morte e le loro lacrime vennero trasformate in ambra dal Sole. Proprio alle lacrime delle Elidi è dedicata la mostra «Magie d’ambra. Amuleti e gioielli della Basilicata antica», allestita presso il Museo Archeologico Nazionale della Basilicata «Dinu Adamesteanu» a Potenza. Aperta al pubblico fino al 15 marzo, il lunedì dalle 14 alle 20 e dal martedì alla domenica dalle 9 alle 20, la mostra espone preziosi reperti in ambra rinvenuti in Basilicata e risalenti all’VIII e IV secolo a.C. e ambre grezze dalle collezioni italiane.

Le proprietà magiche dell’ambra sono evidenziate in Basilicata dai soggetti disegnati sui gioielli: donne, figure alate e personaggi divini in grado di accompagnare l’anima verso la salvezza ultraterrena. Tra i pezzi esposti in mostra, un pendente a forma di sfinge proveniente da Braida di Vaglio, sculture in ambra dalle necropoli di Melfi che raffigurano donne e guerrieri alati (V secolo a.C.) e, da Tricarico, un pendente del IV secolo a.C. che raffigura Eos, la dea dell’Aurora dalle splendide ali che rapisce il giovane Kephalos.

L’ambra è una resina originata dalle secrezioni di piante che, per bellezza, compete con le gemme più preziose: opaca o trasparente, bianca o gialla, rossa, nera o blu, per raggiungere la sua splendida perfezione l’ambra attraversa un processo di fossilizzazione di almeno cinque milioni di anni. Attorno a questa meraviglia della natura sono sorti miti, misteri e leggende che ne accompagnano la storia da oltre duemila anni, rendendola perfetta non solo per gioielli, ma anche per amuleti. Il suo nome, derivato dall’arabo «anbar» (sostanza cerosa prodotta dal capodoglio), divenne «electron» tra i greci per la sua proprietà di accumulare elettricità statica (a scoprirlo, Talete di Mileto nel lontano 600 a.C.), tanto che l’ambra viene sfruttata in elettrologia come uno dei migliori isolanti e dielettrici.

Affascinato dalla sua singolare trasparenza, dall’aroma resinoso che sprigiona bruciando, dalla leggerezza e dal calore al tatto, l’uomo ha attribuito all’ambra virtù magiche, apotropaiche e terapeutiche. Nel I secolo a.C., Plinio annota che le donne della Gallia Transapadana indossavano collane di ambra a scopo terapeutico, per prevenire le malattie delle tonsille e della gola.

L’ uso curativo continua per tutto il Medioevo, fino all’età moderna, come indicano i ricettari della farmacopea europea che la prescrivono per le malattie degli occhi o della gola. Il fascino dell’ambra è dovuto anche alle «inclusioni» che la rendono una delle materie più importanti nello studio di organismi preistorici. Se le ambre più antiche sono prive d’inclusioni vegetali o animali, a partire da 140 milioni di anni fa queste presenze diventano frequenti: aracnidi, farfalle, formiche, scorpioni, rane, lucertole e piccoli rettili, foglie, fiori, pollini e minerali restano al suo interno conservati in maniera sorprendente.

La tradizione greca sosteneva che l’ambra provenisse dall’Esperia, il lontano e leggendario Occidente, attraverso l’Adriatico. Fu Pitea di Marsiglia, durante un viaggio nel Mare del Nord nel IV secolo a.C., ad appurare l’origine nordica dell’ambra poi confermata dai Romani, durante l’impero di Augusto, che la raccolsero lungo le coste del Baltico e dello Jutland. Estratta principalmente nell’area baltica e in quella centroamericana, in Italia i principali luoghi di rinvenimento dell’ambra sono l’Appennino settentrionale e la Sicilia. Raccolta in miniere ("ambre di cava"), fino a metà Ottocento l’ambra veniva rinvenuta anche sulle rive del mare, in seguito a tempeste invernali che staccavano blocchi di ambre dai fondali ("pietra di mare").

In Basilicata, la diffusione di ornamenti in ambra ha inizio già nel secondo millennio a.C., ma il momento della sua maggiore fortuna si registra tra VII e IV secolo a.C., periodo in cui questi territori e, in particolare l’Enotria, intrattengono intensi scambi con il Mediterraneo Orientale, le coste italiane e l’Europa centro-settentrionale. Le donne enotrie di rango sociale elevato e le daunie del Melfese vengono sepolte con sontuosi ornamenti d’ambra: piccole e raffinate sculture in ambra intagliate nelle città greche della costa ionica (Metaponto, Siris, Taranto, Sibari) e nelle città etrusche della Campania (Capua, Pontecagnano) e di Canosa, centro della Daunia costiera.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno on line






 

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