09/02/2011. IL GIORNO DEL RICORDO - MEMORIE E VERITA' PARZIALI: TRA NECESSITA' DI RICORDARE E SPECULAZIONI POLITICHE.
Domani 10 Febbraio ricorrerà la Giornata del Ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, arrivata quest’anno al settimo anniversario.
Lungi dal voler essere detentore assoluto della verità storica e spinto dal bisogno viscerale di far fronte alle ennesime speculazioni politiche di stampo neofasciste, credo di far cosa gradita ai lettori nel proporre – dopo uno studio sul tema durato un anno intero – una sintesi di quei tragici eventi che coinvolsero italiani e slavi del sud negli anni che vanno dal termine del primo conflitto mondiale agli anni Cinquanta del secolo scorso.
Istria, Venezia Giulia e Dalmazia nel ventennio fascista […] i secolari rapporti dell’Italia con gli sloveni e i croati nell’area dell’alto Adriatico, […] si erano progressivamente esacerbati nel clima della grave crisi economica del primo dopoguerra. Il regime di occupazione militare nei nuovi territori annessi con il trattato di Rapallo, comprendenti mezzo milione di sloveni e croati, mirò da subito a reprimere i sentimenti di appartenenza nazionale degli slavi, deportando e mandando al confino quei civili ritenuti pericolosi per la sicurezza dello Stato italiano. In un contesto in cui questione nazionale […] e questione sociale attizzavano gli opposti nazionalismi […] il «fascismo di frontiera» ebbe gioco facile nell’influire sulla società giuliana. […] Del carattere slavofobico, aggressivo e razzista del regime italiano ne subì le conseguenze la cospicua minoranza slovena e croata, sottoposta a una repressiva politica di snazionalizzazione e di fascistizzazione.
Tra il «corpo estraneo degli allogeni slavi» andò progressivamente aumentando il senso di precarietà della vita con la realizzazione del progetto di assimilazione forzata, che colpì ogni aspetto della vita sociale slava, compresa la stessa identità delle persone e dei luoghi mediante l’italianizzazione dei nomi e dei toponimi.
Contro la minoranza slovena e croata si giunse ad approntare meticolosi piani di «bonifica etnica del confine» per favorire la colonizzazione italiana, solo parzialmente realizzati. Il clima di terrore e di violenza, i sequestri e le perquisizioni, gli arresti ingiustificati, la censura, le campagne denigratorie della stampa italiana, i provvedimenti giudiziari, si proponevano di colpire tanto le reazioni di coloro che si ribellavano alla grave oppressione in atto, quanto la resistenza politica legale e clandestina.
L’occupazione militare italiana
[…] Nel territorio della provincia di Lubiana, in ventinove mesi di occupazione militare italiana, si ebbero 67230 internati (di cui 9691 donne e 4282 bambini) su una popolazione di 360 mila abitanti, 11606 morti nei campi di concentramento (1140 bambini), 4 mila civili fucilati, 187 vittime di torture, sevizie e delle fiamme che distrussero i loro villaggi.
In un incontro a Gorizia il 31 luglio 1942 tra Mussolini e i comandi militari fu prospettata persino la deportazione totale della popolazione slovena […]
Le foibe
Con il crollo del regime fascista e la disgregazione dell’esercito italiano in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, i rapporti di forza, di dominio e di repressione tra le popolazioni slave e italiane andarono progressivamente mutando in favore delle prime […] la decisione delle autorità militari tedesche di occupare inizialmente i maggiori centri urbani della costa istriana, permise ai comunisti croati e sloveni di imporre il proprio controllo (tra il settembre e l’ottobre 1943) sull’entroterra dell’Istria.
Da quel momento per le popolazioni italiane della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia iniziò una «lunga agonia» che si protrasse fino alla metà degli anni Cinquanta.
Nell’autunno del 1943 tra le 500 e le 700 persone furono arrestate, condannate sommariamente dal Tribunale del popolo di Pisino […], seviziate, stuprate, fucilate e buttate come «rifiuti della società» nelle cavità carsiche e minerarie del sottosuolo istriano. […] Le violenze furono principalmente una valvola di sfogo e di vendetta per le popolazioni slave, vittime a loro volta di una politica ventennale di repressione e snazionalizzazione da parte del regime fascista italiano, gli ultimi tre anni in un brutale stato di occupazione militare.
Non a caso la maggior parte delle vittime rappresentava per la propria posizione sociale e lavorativa il tradizionale dominio italiano e del regime fascista nella regione.
Tra la popolazione slava ormai era affermato lo stereotipo dell’italiano uguale fascista. Nondimeno, i membri dei PC croato e sloveno cavalcarono l’ondata di violenza delle masse slave per imporre l’annessione dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia alla Croazia, e quindi alla futura Jugoslavia libera e democratica, proclamando la cosiddetta «Dichiarazione di Pisino» (13 settembre) […]
Decisamente rispondenti alla volontà di potenza del nascente Stato jugoslavo furono le cosiddette «foibe giuliane» del maggio-giugno 1945. […] l’Esercito di liberazione nazionale jugoslavo e i partigiani del IX Corpus entravano per primi in città il 1° maggio 1945, e nel tentativo di avviare la nuova costruzione statale si abbandonarono per i successivi 40 giorni ad arresti, deportazioni, esecuzioni di massa e successivi infoibamenti.
La decisa volontà annessionistica del «nazionalcomunismo jugoslavo», la strategia di «annichilimento del dissenso», cioè di tutti coloro che si opponevano all’annessione della Venezia Giulia e del suo capoluogo alla Jugoslavia e di coloro che avversavano il regime comunista, furono le motivazioni alla base di efferati crimini.
Vittime designate divennero i rappresentanti e i collaborazionisti degli apparati militari e di polizia del regime nazifascista […]; l’intero apparato amministrativo e di controllo del territorio […] a prescindere dalle singole responsabilità.
Ma nell’ampia, indefinita ed arbitraria categoria dei «nemici del popolo» rientrarono anche gli antifascisti non comunisti del CLN giuliano, irriducibili avversari dell’egemonia jugoslava nella lotta antifascista e dell’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, nonché gli autonomisti fiumani, i membri delle organizzazioni patriottiche e nazionaliste […] Il numero degli uccisi e infoibati nei luoghi degli arresti, secondo le stime più attendibili e meno politicizzate, si collocò tra le 4500 e le 6 mila unità.
L’esodo
[…] Venuto a mancare l’appoggio politico sovietico, le truppe jugoslave furono costrette a ritirarsi da Trieste e Gorizia alla metà di giugno 1945.
Iniziava allora per le popolazioni italiane di Fiume, dell’Istria, della Venezia Giulia un lungo esodo che durò almeno fino al 1956, con flussi migratori la cui portata variava proporzionalmente con l’andamento delle trattative tra Italia e Jugoslavia sulla definizione territoriale […] Attraverso misure molto simili a quelle applicate dal regime fascista italiano contro le popolazioni slave, come l’epurazione dai posti di lavoro, la brutale snazionalizzazione e l’apertura di una nuova stagione di violenze (omicidi, rapimenti), fu creato un insostenibile clima di invivibilità che convinse anche i più recalcitranti […] e gli stessi simpatizzanti della Jugoslavia socialista ad optare per la soluzione dell’esodo.
Almeno 250 mila istriani, fiumani e giuliani di nazionalità e di sentimenti italiani abbandonarono le proprie case e proprietà (immediatamente nazionalizzate dallo Stato jugoslavo), oltrepassando i nuovi confini di stato.
Note bibliografiche omesse
Pasquale Diroma, La Jugoslavia dal 1941 al 2000: tra esodi, scontri etnici e movimenti di popolazione, Tesi di laurea Università degli studi di Firenze AA. 2006-2007. Bibliografia
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