EURISPES 2006 - L'Italia come Cassano, un talento sciupato. Nel rapporto annuale dell'istituto di ricerca la fotografia di un paese ''che non riesce a trasformare la propria potenza in energiaROMA - Aristotele, Cassano e Mastro Don Gesualdo: Eurispes chiede aiuto a personaggi di ieri e di oggi per spiegare lo stato di salute dell’Italia, così come emerge nel tradizionale rapporto annuale, il diciottesimo (1.300 pagine e sei sezioni tematiche: salute e benessere, lavoro e welfare, qualità e innovazione, democrazia e partecipazione, territorio, economia e sviluppo, costume e società ).
“Un Paese - denuncia il Presidente Gian Maria Fara - che non riesce a trasformare la propria potenza in energia. Un Paese dalle grandi risorse e dalle grandi potenzialità che non riesce ad esprimere e ad affermare un progetto di crescita e di sviluppo. Che non riesce ad individuare un percorso originale al quale affidare il proprio futuro, afflitto dalla difficoltà di attuare un’aristotelica trasformazione della potenza in atto”. Aristotele, spiega l’Eurispes, perché ha affrontato il tema della potenza e del passaggio: “per quanto l’Italia di oggi possa essere criticata o sottovalutata, - scrive - non vi è dubbio che si tratti di una nazione potente, una tra le prime dieci economie mondiali”.
Allo stesso tempo, come Mastro don Gesualdo ossessionato dal mito della “robba” accumulata, l’Italia non riesce “a dare un senso al suo patrimonio, non riesce a cogliere e a capire le trasformazioni che il suo mondo sta vivendo e quindi non investe, non mette a frutto una ricchezza che finirà per essere dilapidata da una famiglia che mal lo sopporta e da un genero incapace e dissipatore”. E Cassano? Secondo l’istituto di ricerca simboleggia “la deriva italica che conduce allo sciupìo del talento, allo spreco delle risorse individuali e del tratto geniale”.
Dalle simbologie ai numeri: la produttività del lavoro è calata del 10,8% in 10 anni e si prevede un andamento decrescente anche per il 2006 e il 2007, il tasso di crescita del Pil italiano nel 2005 si è attestato tra lo 0,1% e lo 0,2%, quasi crescita zero, gli italiani si sono indebitati con le banche in soli 12 mesi di quasi 47 miliardi di euro; infine tra il 1994 ed il 2004, la spesa per la ricerca in Italia si è attestata su valori intorno all’1% del Prodotto interno, contribuendo a peggiorare il divario tra l’Italia e il resto del mondo in termini di competitività.
“Si discute oggi di quel declino che l’Eurispes aveva ampiamente segnalato a partire dal 2002 – sottolinea ancora Fara – con lo stesso approccio con il quale si è affrontata l’introduzione dell’euro, quando le diverse forse politiche hanno impiegato tre anni per capire realmente che cosa fosse accaduto e quali fossero stati i danni provocati da un cambio lira-euro insoddisfacente e dai mancati controlli al momento della sostituzione della moneta. Oggi attorno al capezzale del “malato Italia” si aggirano insigni studiosi, numerosi analisti, autorevoli testate internazionali che dicendo di sì a tutti finisce con il non accontentare nessuno – che, dividendosi in due scuole di pensiero, danno vita ad una discussione, inutile quanto sterile, sul tema: l’Italia è in declino oppure no?
Non si accorgono costoro che l’Italia è già “declinata”, almeno quella alla quale eravamo abituati, e ne sta nascendo un’altra che gli osservatori italiani e stranieri ancora non vedono e non considerano”. La sfida per il 2006 secondo Eurispes “è la ricerca di un nuovo modello di sviluppo che non sia rigidamente ancorato alla misurazione di indici, come per esempio il Pil, quantitativi spesso inesatti o a indicatori esclusivamente quantitativi”.
“Essi devono essere affiancati da altri indicatori ai quali conferire centralità e rilevanza, come la qualità degli spostamenti nelle città, il degrado urbano e ambientale, il livello di soddisfazione rispetto al proprio lavoro e alle proprie competenze e ruoli professionali, la consistenza e la conservazione del patrimonio artistico e culturale, il grado di ospitalità delle strutture turistiche, la qualità dell’istruzione, gli indicatori relativi alla sicurezza, la qualità delle prestazioni di welfare e dei servizi pubblici, le disuguaglianze del reddito, la crescente incidenza delle vecchie e nuove povertà, il grado di solidarietà e di integrazione sociale”.
Fonte: © Copyright Redattore Sociale «Italia alla deriva, e i Cassano vanno via» L'Eurispes fa un'analisi del nostro Paese: potenza in declino che non sa amministrare le proprie risorse e, alla fine, le perde. Come - è la metafora del presidente Eurispes, Gian Maria Fara - è accaduto al calciatore Antonio Cassano. Italiani, schiavi del precariato», urgono nuove leggi
ROMA - L’Italia è «un Paese che non riesce a trasformare la propria potenza in energia. Un Paese dalle grandi risorse e dalle grandi potenzialità che non riesce ad esprimere e ad affermare un progetto di crescita e di sviluppo. Che non riesce ad individuare un percorso originale al quale affidare il proprio futuro, afflitto dalla difficoltà di attuare un’aristotelica trasformazione della potenza in atto». Questa, nelle parole del presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, la fotografia del nostro Paese che emerge dal «Rapporto Italia 2006», il 18esimo realizzato dell’Eurispes, presentato questa mattina a Roma.
Il Rapporto, giunto alla 18a edizione, si compone di 1.300 pagine ed è articolato in sei sezioni tematiche: salute e benessere, lavoro e welfare, qualità e innovazione, democrazia e partecipazione Territorio, economia e sviluppo Costume e società. «Per quanto l’Italia di oggi possa essere criticata o sottovalutata, non vi è dubbio che si tratti di una nazione potente, una tra le prime dieci economie mondiali. Un Paese fortunato che ha ricevuto dalla storia un’incredibile dote, un patrimonio ineguagliabile di arte e di cultura e dalla natura una concentrazione irripetibile di bellezze e di tesori. Un Paese che si è modernizzato -continua Fara- e fatto grande in anni recenti grazie all’impegno, al sacrificio, alla creatività, alla caparbietà dei suoi cittadini».
FARA: UNA NAZIONE TRA ARISTOTELE, MASTRO DON GESUALDO E CASSANO
«Si tratta quindi, fatto l’inventario di questo patrimonio, di passare dalla potenza all’atto -raccomanda il presidente dell’Eurispes- cioè a quella fase di costruzione e di creazione senza la quale, come ben ci insegna Aristotele, la potenza rimane fine a se stessa, inutilizzabile, senza scopo nè direzione, incapace di produrre azione e quindi futuro. Come Mastro don Gesualdo, ossessionato dal mito della robba accumulata, l’Italia non riesce infatti a dare un senso al suo patrimonio. Mastro don Gesualdo non riesce a cogliere e a capire le trasformazioni che il suo mondo sta vivendo e quindi non investe, non mette a frutto una ricchezza che finirà per essere dilapidata da una famiglia che mal lo sopporta e da un genero incapace e dissipatore».
«Anche il giovane Cassano -esemplifica Fara- simboleggia efficacemente la deriva italica che conduce allo sciupìo del talento, allo spreco delle risorse individuali e del tratto geniale. Cassano approda nel 2001 nella Capitale. La Roma spende per strapparlo alla concorrenza 30 milioni di euro. Si tratta comunque di una valutazione eccessiva ma in linea con le follie del calcio di quel periodo: quante analogie con le bolle speculative e i valori azionari gonfiati di alcuni titoli in Borsa, i prezzi degli immobili fatti lievitare ad arte, gli stipendi esagerati di manager pubblici e privati che operano in settori protetti e monopolistici e che non rendono per quanto sono pagati».
L’ESEMPIO DELLA SPAGNA
«Dopo la partenza di Fabio Capello, nel 2004, verso lidi juventini, Cassano si perde. La società romanista non riesce più a valorizzarne il talento (come succede spesso alla società italiana con i suoi cervelli migliori) e nel giro di poco tempo si riduce il suo valore di mercato. I rapporti con la società si deteriorano sino al punto che la Roma decide di liberarsi del calciatore. Il parallelo con tanti talenti che emigrano altrove in cerca di fortuna è evidente. L’Italia non sa riconoscere e valorizzare i suoi giovani più dotati -lamenta Fara- che sono costretti a scegliere altre destinazioni. Infine, la destinazione di Cassano, la Spagna, evoca altre suggestioni: si tratta di un paese che ha saputo, affrontando alcuni nodi strutturali della propria società e della propria economia, superare l’Italia in diversi settori con una ricetta i cui ingredienti principali sono progettualità, modernizzazione e giovanilismo».
«Cassano inoltre rappresenta l’estro individuale, la giocata di classe che, in campo e fuori dal campo, non riesce a fare sistema, così come accade in diverse aree di attività del nostro Paese dove diverse realtà imprenditoriali, culturali e professionali raggiungono picchi di eccellenza, ma -aggiunge il presidente dell’Eurispes- non riescono a fare massa, a promuovere un benessere diffuso, generalizzato, nonostante inviti ed appelli istituzionali destinati a cadere nel vuoto».
ORMAI SIAMO A CRESCITA ZERO
Per l’Eurispes la competitività resta la «questione irrisolta del sistema Paese», posto che «l’aspetto più macroscopico dell’andamento negativo della nostra economia negli ultimi anni è l’allargamento del divario tra l’Italia e il resto del mondo e il peggioramento del Paese nella gerarchia della competitività nazionale sullo scenario mondiale. Nel decennio 1994-2004, la spesa per la ricerca in Italia si è attestata su valori intorno all’1% del Prodotto interno lordo annuo. Senza considerare i paesi extra europei (il Giappone ha speso il 3,1% del Pil e gli Stati Uniti il 2,6%), la Svezia (4%) e la Finlandia (3,5%), spendono in Ricerca e Sviluppo più del triplo di quanto spende l’Italia. Oltre il doppio, invece, spendono Danimarca e Germania (rispettivamente 2,6% e 2,5% del Pil)».
«La produttività del lavoro nel nostro Paese è calata del 10,8% in 10 anni: peraltro, si prevede un andamento decrescente anche per il 2006 e il 2007 -avverte l’Eurispes- Nel periodo 2000-2005, si è registrato in Italia un clima generale di stagnazione e di decremento dei valori dell’apparato industriale, con particolare riferimento ai settori del cuoio e pelle (-31% in termini di valore aggiunto rispetto al 2000), della produzione di macchine elettriche (-28,7%) e quello dei mezzi di trasporto (-21,3%). Di pari passo, si è assistito al calo generalizzato del numero degli addetti nel settore industriale a livello nazionale con una riduzione del 2,7% dal 1999 al 2004 (-139.400 addetti). Nel 2005, il tasso di crescita del Pil italiano soprattutto a causa della negativa performance industriale si è attestato su valori compresi tra lo 0,1% e lo 0,2% (dunque siamo ormai alla crescita zero!)».
LE FAMIGLIE PERDONO POTERE D’ACQUISTO E CRESCE IL CREDITO AL CONSUMO
A fronte di questa situazione, per l’Eurispes, «le famiglie italiane hanno sperimentato nel corso del 2005 una rilevante riduzione del proprio potere d’acquisto, un fenomeno che si protrae ormai dal 2001. Infatti, sul fronte dei consumi familiari in soli dodici mesi il credito al consumo ha avuto una crescita del 23,4%, pari quasi a 47 miliardi di euro, nel 2005 e accentuando una tendenza già manifestata negli anni passati. Se, da una parte, si è registrata un’impennata dell’indebitamento delle famiglie italiane, dall’altra, non si è riscontrata una altrettanto visibile crescita dei consumi pro capite che hanno segnato, nell’ultimo biennio, incrementi modesti dell’ordine dell’1% annuo».
«Nel nostro Paese le famiglie ricorrono al credito soprattutto per far fronte ai bisogni essenziali (cure mediche e specialistiche, automobili, elettrodomestici, servizi per la casa e simili), piuttosto che per acquistare beni e servizi voluttuari quali, ad esempio, viaggi e vacanze. Peraltro, si sta diffondendo sempre più la pratica di credito al consumo per l’acquisto di beni di prima necessità come quelli alimentari. L’indebitamento delle famiglie continuerà quindi a crescere non per alzare la quantità e la qualità dei consumi, ma per riuscire a mantenere il vecchio, dignitoso livello di vita», avverte l’Eurispes.
INFLAZIONE CRESCIUTA DEL 23,7% NEL PERIODO 2001-2005 - AUMENTANO I POVERI
Nel periodo 2001-2005 l’Eurispes ha calcolato «una crescita complessiva dell’inflazione del 23,7% con una perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni pari al 20,4% per gli impiegati, al 14,1% per gli operai, al 12,1% per i dirigenti e all’8,3% per i quadri. Aumentano le famiglie povere e a rischio povertà. In Italia, secondo l’Istat, vivono in condizioni di povertà relativa ben 2 milioni e 674mila famiglie (l’11,7% delle famiglie residenti), pari ad un totale di 7 milioni e 588mila persone (il 13,2% della popolazione italiana)».
Oltre all’incremento del numero delle famiglie povere (+300mila) l’Eurispes stima che «circa 2.500mila nuclei familiari siano a rischio povertà, l’11% delle famiglie totali, ben 8 milioni di persone. Il totale delle persone a rischio povertà e di quelle già comprese tra gli indigenti è allarmante: si possono stimare circa 5.200.000 nuclei familiari, all’incirca il 23% delle famiglie italiane e più di 15 milioni di individui, di questi quasi 3 milioni sono minori di 18 anni (circa 1.700mila minori sono già poveri e i restanti a serio rischio povertà)».
AL 58% DEGLI ITALIANI I SOLDI NON BASTANO PER ARRIVARE A FINE MESE
«Per oltre il 58% degli italiani i soldi a propria disposizione non bastano ad arrivare a fine mese», sostiene l’Eurispes, sottolineando che «questo ha significato negli ultimi anni un profondo cambiamento degli stili di vita e comportamenti di consumo dei cittadini, costretti ad attuare delle vere e proprie tecniche di sopravvivenza e riducendo il livello di spesa per alcune voci».
Per fronteggiare la carenza di risorse, «la stragrande maggioranza degli italiani ha operato tagli non solo alle spese per il tempo libero (61,5%) e per viaggi e vacanze (64%), ma anche -elenca L’Eurispes- alle spese destinate ai regali (72%) o ai pasti fuori casa (oltre il 66%). Se il 74,4% ha limitato le uscite, molti hanno cercato di trasferire all’interno del proprio microcosmo privato i momenti di loisir solitamente consumati all’esterno: circa il 73%, ad esempio, ha sostituito la pizzeria o il ristorante con cene a casa di amici, il 63% ha rinunciato al cinema ed ha affittato un film da vedere a casa, il 50,4% ha visto/acquistato in Tv la partita che avrebbe voluto invece vedere allo stadio».
PER FARA L’ITALIA E’ GIA DECLINATA
«Si discute oggi di quel declino che l’Eurispes aveva ampiamente segnalato a partire dal 2002 -sottolinea Fara- con lo stesso approccio con il quale si è affrontata l’introduzione dell’euro, quando le diverse forze politiche hanno impiegato tre anni per capire realmente che cosa fosse accaduto e quali fossero stati i danni provocati da un cambio lira-euro insoddisfacente e dai mancati controlli al momento della sostituzione della moneta. Oggi attorno al capezzale del ’malato Italià si aggirano insigni studiosi, numerosi analisti, autorevoli testate internazionali che, dividendosi in due scuole di pensiero, danno vita ad una discussione, inutile quanto sterile, sul tema: l’Italia è in declino oppure no?» «Non si accorgono costoro che l’Italia è già ’declinatà, almeno quella alla quale eravamo abituati, e ne sta nascendo un’altra che gli osservatori italiani e stranieri ancora non vedono e non considerano. E’ un’Italia che l’Eurispes, anche attraverso le sue sedi sul territorio, incontra quotidianamente: un’Italia rappresentata da aziende e istituzioni le cui attività e successi sono poco noti al grande pubblico. Il vero problema è che questa Italia, ancora fragile e timorosa, che vorrebbe affermarsi ha grandi difficoltà a rompere definitivamente il guscio che l’avvolge. Un guscio fatto anche di analisi a scoppio ritardato e di ricette politiche bipartisan ancora legate ai modelli della tradizione economica, che hanno mostrato il loro sostanziale fallimento nel corso degli ultimi cinquant’anni».
LA MAPPA DEI NUOVI RICCHI
L’Eurispes ha analizzato la distribuzione della ricchezza in Italia individuando quali categorie si sono maggiormente arricchite e quali hanno subito i maggiori contraccolpi della crisi economica. «I nuovi ricchi si devono cercare soprattutto nei settori finanziario, assicurativo, immobiliare e dei servizi alle imprese: medi e grandi azionisti, brokers e consulenti delle società finanziarie e assicurative; medi e grandi azionisti delle società di telefonia fissa e mobile, concessionari e rivenditori di servizi telefonici; medi e grandi azionisti e manager delle aziende erogatrici di public utilities; concessionari/rivenditori di spazi pubblicitari televisivi e radiofonici e agenti pubblicitari del settore privato della comunicazione».
Ma anche «commercianti all’ingrosso e al dettaglio; imprenditori del settore dell’edilizia, immobiliaristi e agenti immobiliari; produttori e rivenditori di beni di lusso; titolari di centri estetici e beauty farm. Anche diverse tipologie di liberi professionisti come avvocati e consulenti legali dei settori finanziario, assicurativo e immobiliare, medici specialisti e dentisti, commercialisti e tributaristi hanno potuto sfruttare il ciclo economico di elevata inflazione adeguando verso l’alto in maniera pesante onorari, tariffe e parcelle professionali».
ECCO CHI HA PERSO IN QUESTI ANNI
Tra chi ha perso bisogna annoverare, secondo l’Eurispes, «innanzitutto i piccoli risparmiatori, travolti da vere e proprie truffe finanziarie, alcune componenti del piccolo artigianato e della piccola distribuzione, i piccoli e medi imprenditori agricoli che non sono stati in grado di consorziarsi per ridurre i costi e aumentare il loro potere contrattuale nei confronti dei grossisti e dei rivenditori. La crisi del manifatturiero tradizionale, ha coinvolto oltre agli imprenditori di aziende non sufficientemente strutturate sul piano organizzativo, anche le maestranze specializzate e le piccole imprese contoterziste a conduzione familiare».
«Anche gli operatori dello spettacolo sono stati colpiti dalla crisi economica e -rileva l’Eurispes- nell’ultima Finanziaria hanno visto ridursi in maniera drastica il Fondo unico destinato a questo settore. La difficile congiuntura ha investito in maniera rilevante ampie fasce di lavoratori dipendenti (impiegati e operai), che in molti casi attendono da anni il rinnovo del contratto nazionale di lavoro e, soprattutto, i lavoratori atipici e parasubordinati, il cui numero è fortemente aumentato negli ultimi anni grazie alle nuove riforme nel campo del diritto del lavoro».
«Tra quanti hanno perso vi sono i pensionati che, oltre a subire una forte perdita del potere d’acquisto, hanno dovuto farsi carico del sostentamento di figli e nipoti che a causa della precarizzazione dei rapporti di lavoro non riescono a far quadrare il proprio bilancio familiare», sottolinea l’Eurispes.
UN 2006 MIGLIORE IN ECONOMIA SOLO PER IL 19,2% DEGLI ITALIANI
Relativamente all’anno appena trascorso e al 2006, l’opinione pubblica esprime, afferma l’Eurispes, «sempre maggiore preoccupazione rispetto ai temi dell’economia, dell’occupazione e del carovita. Il 41,5% degli italiani ritiene che nel corso del 2005 la situazione del Paese è nettamente peggiorata, mentre quanti osservano che è lievemente peggiorata rappresentano il 30,7% (nel complesso quasi tre cittadini su quattro esprimono un giudizio negativo sul sistema Paese nell’ultimo anno)».
La situazione «è rimasta stabile per il 19,7%, mentre è lievemente migliorata per il 6,1% (soltanto lo 0,8% ritiene che le condizioni del Paese siano nettamente migliorate nel 2005)». In relazione alle aspettative future poi, «la situazione migliorerà nel 2006 soltanto per il 19,2% della popolazione, per il 36,3% rimarrà immutata e per il 30,1% peggiorerà.
CALA FIDUCIA VERSO ISTITUZIONI, ANCHE NEI CONFRONTI DI CIAMPI
Dall’economia alla politica, «mentre la classe politica si mostra incapace di elaborare un progetto per uscire dalla crisi, cresce la sfiducia generalizzata dell’opinione pubblica nei confronti delle Istituzioni», afferma l’Eurispes che cita come riprova «il calo di consensi nei confronti del Presidente della Repubblica al quale riservano la propria fiducia il 65,6% dei cittadini, un valore distante da quello del 2005 (80%) e del 2004 (79%)».
A che cosa attribuire questo calo? «Probabilmente è fallito il tentativo romanticamente razionale incarnato da Ciampi -suggerisce l’Eurispes- di restituire coesione, unità e fiducia ad un Paese profondamente lacerato. Troppi gli interessi in conflitto, troppe le fazioni, troppi gli inquinamenti prodotti dalla compenetrazione politica-affari, troppe le divisioni tra aree territoriali e livelli di governo. ’Ciampi-San Sebastianò si è ovunque speso, impegnando la propria credibilità e la propria autorevolezza, in una missione praticamente impossibile: quella di salvaguardare l’immagine della nazione e delle Istituzioni, devastata quotidianamente dalle scorrerie e dai danni prodotti dalla politica e dalla finanza italiana».
TRA LE ISTITUZIONI MAGISTRATURA IN TESTA PER FIDUCIA MA RIDUCE ANCH’ESSA CONSENSI
Dall’indagine emerge, riassume l’Eurispes «la maggior parte degli italiani (49,2%) è meno fiduciosa verso le Istituzioni rispetto allo scorso anno. Solo il 4,1% ha riposto più fiducia nelle Istituzioni durante l’ultimo anno. Il 2005, registra quindi una progressiva perdita di fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni. Nel 2004 era maggiore di oltre 3 punti la percentuale di coloro i quali avevano incrementato il proprio livello di fiducia (7,4%) rispetto ai 12 mesi precedenti, mentre la maggior parte degli intervistati (53,9%) lo aveva mantenuto inalterato».
Prendendo in considerazione le singole Istituzioni, «è emersa una maggiore fiducia, da parte degli italiani intervistati, nei confronti della Magistratura (38,6%), mentre hanno fiducia nel Parlamento e nel Governo solo il 24,6% e il 23% di essi. Confrontando questi dati con quelli del 2005, si evince una riduzione del livello di fiducia in relazione a tutte e quattro le Istituzioni considerate. Lo scorso anno gli intervistati che avevano fiducia nella Magistratura, nel Parlamento e nel Governo erano rispettivamente il 44%, il 34% e il 32,9%».
FARA: CERCARE NUOVO MODELLO DI SVILUPPO NON RIGIDAMENTE ANCORATO A INDICI
«La sfida che il 2006 ci propone -sottolinea Fara- è la ricerca di un nuovo modello di sviluppo che non sia rigidamente ancorato alla misurazione di indici, come per esempio il Pil, quantitativi spesso inesatti o a indicatori esclusivamente quantitativi. Essi devono essere affiancati da altri indicatori ai quali conferire centralità e rilevanza, come la qualità degli spostamenti nelle città, il degrado urbano e ambientale, il livello di soddisfazione rispetto al proprio lavoro e alle proprie competenze e ruoli professionali, la consistenza e la conservazione del patrimonio artistico e culturale, il grado di ospitalità delle strutture turistiche, la qualità dell’istruzione, gli indicatori relativi alla sicurezza, la qualità delle prestazioni di welfare e dei servizi pubblici, le disuguaglianze del reddito, la crescente incidenza delle vecchie e nuove povertà, il grado di solidarietà e di integrazione sociale».
«In diversi settori (dal turismo all’arte, dalla qualità dell’accoglienza alla tradizione eno-gastronomica, dalla bellezza del paesaggio al piacere del vivere in Italia) i nuovi indicatori spingerebbero il nostro Paese verso importanti primati rispetto ad altri paesi europei ed extra-europei e potrebbero fungere da guida per le future scelte strategiche del sistema economico nazionale», suggerisce il presidente dell’Eurispes.
LA RISORSA DEL TURISMO
Per l’Eurispes esiste «un’Italia dalle potenzialità inespresse. E’ l’Italia che secondo le stime dell’Unesco possiede fra il 60 e il 70 per cento dei beni culturali mondiali. Basti pensare che nel 2004, le principali città di interesse storico e artistico hanno totalizzato complessivamente il 33,7% degli arrivi nel nostro Paese (circa 28,9 milioni di persone) e il 23,5% (81,1 milioni di persone) delle presenze. Gli arrivi di visitatori italiani con motivazioni d’arte incidono per circa un quarto sul totale degli arrivi negli esercizi ricettivi e le presenze per il 17,9%, mentre gli stranieri che visitano le città d’arte rappresentano il 44,7% degli arrivi e il 31,6% dei pernottamenti».
In controtendenza rispetto al dato nazionale, «Roma ha registrato un vistoso incremento del proprio fatturato, dovuto principalmente dai risultati ottenuti dai settori del turismo, dell’arte e della cultura. Eppure uno dei principali ostacoli alla competitività del turismo italiano sui mercati internazionali, è costituito dalla scarsa capacità ricettiva media del sistema alberghiero, soprattutto in relazione a quella dei paesi europei nostri diretti concorrenti, come Francia, Grecia, Spagna. Insieme a quello ufficiale esiste anche il fenomeno sommerso del cosiddetto turismo che non appare, talmente vasto da rappresentare i due terzi di quello ufficialmente rilevato a fronte infatti di 344 milioni di presenze ufficiali nel 2003, ce ne sarebbero state altri 729 milioni, nei 2.978.375 appartamenti di vacanza stimati, che avrebbero portato l’effettiva consistenza delle presenze a 1,073 miliardi».
MATRIMONIO FRUTTUOSO DEL TURISMO CON L’AGRICOLTURA
«Ma mentre tutti i paesi europei puntano sul turismo, l’Italia ha abolito il Ministero ed oggi ognuna delle 20 regioni esprime una diversa e frammentata politica del settore», lamenta l’Eurispes che segnala poi «il matrimonio fruttuoso del turismo con l’agricoltura. Il mercato dell’agriturismo - tra ospitalità, acquisti di prodotti tipici e ristorazione - muove complessivamente circa 800 milioni di euro ogni anno. Inoltre, nell’arco temporale compreso tra il 1999 e il 2004, il giro d’affari del settore agrituristico è cresciuto del 128%, a fronte di un incremento complessivo delle aziende attive pari al 53%».
I turisti che nel 2004 hanno scelto le mete agricole «sono stati circa 12 milioni, tra italiani e stranieri. Di questi, i 3/4 sono enoturisti sulle Strade e nelle Città del vino e visitatori di sagre e feste di paese mentre circa 3 milioni sono gli ospiti delle aziende agrituristiche. Non a caso, nel 2004, l’Italia ha raggiunto la quota di 136 prodotti di qualità (Dop e Igp) registrati, ponendosi allo stesso livello della Francia, mentre nel 2003 i riconoscimenti per il nostro Paese sono stati 13 e sono ancora molti i prodotti in attesa di ottenere il riconoscimento comunitario».
Nella vendemmia del 2004 la produzione di vini Doc e Docg ha raggiunto i 16,6 milioni di ettolitri, cioè il 33% del totale del vino prodotto nel nostro Paese; includendo il vino Igt, la percentuale di vino di qualità prodotto in Italia sul totale ammonta al 60%. Il fatturato complessivo delle denominazioni tutelate italiane, compreso il vino, rappresenta circa il 10% del settore agro-alimentare e circa il 16% dell’export. «Queste cifre dimostrano il peso sempre più rilevante della produzione di qualità del nostro Paese», sottolinea l’Eurispes.
SANITA’ ITALIANA POTREBBE ESSERE RIFERIMENTO PER INTERO BACINO DEL MEDITERRANEO
Qualità e dimensioni fattori importanti anche per il settore della Sanità: secondo l’Eurispes «l’Italia dovrebbe anche cercare di trarre maggiori vantaggi da un settore sottovalutato in termini di produzione come quello della sanità, che con la sua articolazione e i suoi poli di eccellenza potrebbe porsi come punto di riferimento per l’intero bacino del Mediterraneo. Il Servizio Sanitario Nazionale infatti è l’equivalente di una delle maggiori, forse la maggiore, holding aziendale del Paese».
«Con il vertice centrale e le 21 capofila regionali, la holding della sanità pubblica comprende -elenca l’Eurispes- 197 Aziende sanitarie locali, al cui interno operano presidi ospedalieri e residenze sanitarie assistenziali, 102 Aziende ospedaliere autonome, 31 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, 12 Istituti di ricerca (Iss, Ispesl e 10 Istituti zooprofilattici sperimentali), 1 Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali, 21 Agenzie regionali dei servizi sanitari locali e 1 Agenzia italiana del farmaco».
«La holding, le capofila regionali e le aziende, Istituti e Agenzie che ne fanno parte: dispongono, nelle sole strutture operative, complessivamente di 659.179 dipendenti, così suddivisi per tipo di attività lavorativa: 448.754 nel ruolo sanitario, 1.598 nel ruolo professionale, 133.705 nel ruolo tecnico, 74.792 nel ruolo amministrativo», dettaglia l’Eurispes.
FARA, USCITA DALLA CRISI LEGATA A RISCOPERTA PECULIARITA’ E VOCAZIONI PAESE
«La via d’uscita dalla crisi è legata -conclude Fara- alla riscoperta e alla valorizzazione delle peculiarità e delle vere vocazioni del nostro Paese. Trasformare la potenza in atto significa dunque realizzare il passaggio da un sistema produttivo orientato alla produzione di beni di consumo individuali, materiali o immateriali, verso la produzione di ben vivere collettivo in termini di riqualificazione urbana; energie pulite e rinnovabili; salvaguardia del territorio, dell’acqua e dell’aria; salute e prevenzione sanitaria; agricoltura e sicurezza alimentare; ristrutturazione della mobilità dei passeggeri e delle merci; ristrutturazione disinquinante dei processi produttivi e uso più efficiente delle risorse».
«Se poi ci volgiamo alla struttura produttiva italiana, la prospettiva di dare sostegno crescente a produzioni di ’ben viverè appare particolarmente appropriata. Accanto ai settori del territorio, dell’energia o dell’agricoltura, il campo dei beni artistici e culturali, la riqualificazione delle città appaiono attività che bene rappresentano il passaggio dalla rincorsa della quantità alla cultura della qualità».
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno on the web 27/1/2006
«Italiani: schiavi del precariato»
Il Rapporto Italia 2006 dell'Eurispes: in 10 anni gli atipici sono aumentati del 275%. La riforma Biagi «ha affollato le aziende di lavoratori in transito, quindi indifferenti alla partecipazione agli obiettivi dell'impresa»; l'insicurezza, poi, blocca i consumi. E per le lavoratrici la maternità è un «handicap»
ROMA - E’ un lavoratore che «si muove a disagio», quello italiano, secondo «percorsi all’insegna dell’insicurezza e inseguendo un posto di lavoro stabile, in una dimensione qualitativa di soddisfazione dei propri fabbisogni che appare sempre più precaria, malgrado le strategie occupazionali attuate dal legislatore». Un lavoratore che, nel contesto sociale, economico e normativo, «naviga all’interno di un flusso di rinnovamento continuo». E’ lo scenario descritto dall’Eurispes nel Rapporto Italia 2006, presentato oggi a Roma.
A partire dalla cosiddetta rivoluzione tecnologica della metà degli anni Settanta, spiega l’Istituto, si può dire che nel rapporto di lavoro «nulla è stato più come prima». «I cambiamenti economici e strutturali -si legge nel testo- sono stati così profondi e radicali da indurre le imprese a una rincorsa continua verso nuovi modelli organizzativi e i lavoratori a una ricerca sempre più esasperata del posto di lavoro stabile e tutelato». E, «pur nella permanenza della tutela reale del posto di lavoro, il legislatore ha eroso profondamente l’area di applicazione del contratto a tempo indeterminato, favorendo di una serie di contratti temporanei». Questo ha spinto «le imprese, ancora convalescenti dalla crisi degli anni Settanta, a chiedere, accanto ai processi di ristrutturazione ed esternalizzazione, un minor costo del lavoro e un’ampia flessibilità nell’uso della manodopera».
SERVE CODICE PER GARANTIRE SOGLIA MINIMA DIRITTI A TUTTI
Per l’Eurispes, la riforma Biagi, in particolare, «ha affollato le aziende di lavoratori in transito che, in quanto tali, sono indifferenti alla partecipazione agli obiettivi dell’impresa, tendono a non sindacalizzarsi e, tra l’altro, in ragione del senso di precarietà che accompagna i nuovi lavori a tempo definito, non sono nemmeno buoni consumatori». Inoltre, con la legge 30, «si è aperta una nuova stagione dei diritti sul lavoro, da rivisitare, aggiornare e, quindi, soprattutto, declinare in funzione di una maggiore attenzione alle diversità delle condizioni strutturali e organizzative, indotte dalla flessibilità».
Per questo, «si pone l’esigenza di emanare quanto prima un Codice della persona che lavora (già da tempo al vaglio degli organi politici con il nome di Statuto dei lavori)». «Lo strumento legislativo per gestire la complessità dei bisogni e dei problemi nuovi che pone il moderno mercato del lavoro -sottolinea il Rapporto- deve, infatti, agire per tutele e non solo per modelli. Solo una legislazione trasversale, che attraversi le differenti aree, può garantire una soglia minima di diritti comuni a tutti i lavori, consentendo al tempo stesso discipline protettive differenziate per i singoli tipi di lavoro».
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno on the web 27/1/2006