29/04/2012. CANOSA DI PUGLIA - DAL 4 MAGGIO "LA CITTA' DI PIETRA E DI MARMO": UNA MOSTRA RITROVA LE TRACCE DELLA CITTA' ROMANA.
A Canosa di Puglia, nella sede del Museo Civico di Palazzo Iliceto, una mostra ritrova le tracce della città romana.
Costruzione e distruzione: attraverso il ritmo dinamico della storia che ha distrutto le forme e gli spazi delle città creando macerie, nell’opposizione fondamentale tra i più e i meno che offrono le rovine procede il cammino di chi nella ricezione frammentaria del visibile si interroga sul significato delle forme e sui mutamenti intervenuti.
Il percorso espositivo, che completa con la sezione dedicata alla città romana l’allestimento di Palazzo Iliceto, sede delle collezioni civiche della città di Canosa, è orientato in questa direzione.
Consapevoli dell’impossibilità di liberare il ritmo della città romana e di ridare tensione alle espressioni vitali e all’infinita varietà delle sue forme, si è volutamente rispettato l’inevitabile processo di riduzione subito dalla città e dei suoi elementi materiali.
Emerge, quindi, inevitabilmente una città muta, che intende sottrarsi alla rappresentazione e alla messa in opera delle immagini. Le opere in quanto mutile e frammentarie possono essere percepite ma è compito di chi guarda liberare lo spazio intorno agli oggetti e far vivere gli stessi in una dimensione che non è più la nostra.
L’organizzazione della città romana è attraverso la pietra e il marmo. Tappe decisive della trasformazione nella città prima municipio e poi colonia sono l’organizzazione degli spazi pubblici e privati secondo il modello delle città romane.
La risonanza della città di marmo è nelle superfici di statue, colonne e templi segnati dalla politica imperiale e dalla benevolenza dei patroni. La città di pietra di antica tradizione continua nei secoli a vivere e si modella nella radicalizzazione delle scelte, nel continuo scavare anche in area urbana per cavare e consumare all’infinito quella pietra non-indipendente dalla rappresentazione della città come monumento di pietra.
La composizione del percorso parte dagli esiti decorativi dell’architettura: nella prima sala una sequenza di capitelli di pietra e di marmo. Il finito, il limite del capitello senza la possibilità di una sua ricollocazione in una struttura architettonicamente valida è palese.
Siamo all’interno della città daunia, percepiamo la dimensione della città romana, le forme della città sabiniana, la vibrazione della città medievale ma la logica coerente delle tante città che si sono succedute è persa.
Lo sguardo sulle cose si ricompone inaspettatamente come immagine di continuità nella lavorazione di un capitello a stampella medievale. Sulla superficie di marmo vi è la dedica di un devoto canosino alla Madonna dell’Incoronata. La Madonna arborea troneggia tra fronde di quercia e angeli festanti. La dedica è del 1888. Da secoli la devozione verso la Madonna lignea del santuario costituiva motivo di pellegrinaggio e ricerca di protezione.
Come non pensare che questo affiorare di un mondo spirituale su una forma definita dia nuova vita all’oggetto, consentendone una nuova immagine?
Il bisogno di appropriazione delle immagini della città romana è forte. Ancora di più se la vicinanza con statue e teste ritratto procede come un cammino rituale. Si cerca la bellezza delle forme, si cerca la vicinanza che è insieme lontananza.
Le statue della tarda repubblica e della prima età imperiale hanno la durezza della pietra e sembrano ritrarsi di fronte allo sguardo del visitatore. L’immobilità della testa marmorea che richiama nella pettinatura e nei tratti la vicinanza alle fattezze dell’Augusta Lucilla comunica l’esperienza della “storia”, di quello scenario dell’Urbe che sollecitava adeguamenti e alleanze.
Oggetti invisibili rimarranno le statue frammentarie della sezione figurativa, uno zoccolo equino, un delfino di una statuaria ormai persa: possiamo guardare- attraverso per ricomporre.
Solo la bellezza del sedile marmoreo in cui si dispiegano fregi vegetale di grande eleganza può suggerire la rappresentazione delle forme, gli spazi abitati e la grande cura che contrassegnava i manufatti.
In questa sezione trionfa lo sguardo che cerca di catturare, di capire ciò che sfugge. La rottura è totale di fronte al piccolo busto di Iside. Contro ogni previsione, il busto della divinità appare pensato come enigma. Forse per quel velo che cela gli occhi, per quel volto che non mostra nulla, che non si fa vedere.
Inverte la dinamica del percorso, che evidenzia in assoluto la disfatta dell’immagine, il ritorno a Canosa di pezzi marmorei provenienti dall’anfiteatro.
La storia di questi preziosi reperti è paradossale. Si tratta di marmi notissimi, in quanto pubblicati dopo il rinvenimento e sottoposti a notifica con conseguenti disposizioni sulla proprietà giuridica e la destinazione.
Venduti e poi donati al Museo Pinacoteca di Barletta, per i successivi provvedimenti ministeriali avrebbero dovuto far ritorno nella città di Canosa. Uno dei tanti esempi di incuria per i beni archeologici e di un mondo di immagini che si disperde se pazientemente non si ricompongono le linee archeologiche della storia della città.
Vogliamo rendere visibile il frontone di uno degli ingressi dell’anfiteatro, uno dei pochi monumenti che ha una sua collocazione topografica e decorativa. Non vi è inganno nella possibilità di immaginare l’alzato, nella legittimazione di modanature decorative che richiamano i prospetti marmorei dell’anfiteatro di Lucera.
Il percorso chiude con i cippi funerari in pietra, immagine dolente dell’insopprimibile necessità di essere ricordati anche da morti, per come si era, per ciò che la morte non potrà mai togliere.
Si ripercorre la sezione epigrafica, già inaugurata anni fa con l’apertura di Palazzo Iliceto, per cogliere sul terrazzo che si apre nella luce della città del presente gli ultimi segni iconici, il sarcofago di P.Libuscidius Victorinus, duoviralicius nel 223 d.C., tardo esemplare di pietra in cui l’unica distinzione è l’epigrafe a grandi lettere a memoria di una delle più importanti famiglie canosine.
Anche questa storia di dimenticanze, nel ricordo del recupero del reperto da una discarica e nella frammentazione della pietra che abbiamo qui voluto come paziente ricomposizione di spazio e tempo.
Forse chi percorre oggi Palazzo Iliceto potrà riflettere su queste parole del filosofo Walter Benjamin: «La traccia è l’apparizione di una vicinanza, per quanto possa essere lontano ciò che essa ha lasciato dietro di sé. L’aura è l’apparizione di una lontananza, per quanto possa essere vicino ciò che essa suscita. Nella traccia noi facciamo nostre le cose; nell’aura essa s’impadronisce di noi».
Certamente la città di pietra e di marmo è altro rispetto alla sua forma antica, ma vi è la necessità di fare nostre le cose e di lasciare che l’aura si impadronisca di noi.
(Presentazione di Marisa Corrente)
Notizie utili "La Città di pietra e di Marmo", dal 4 maggio 2012, Canosa di Puglia, Museo Civico di Palazzo Iliceto, Via Ferdinando Lopez. Orario: tutti i giorni 9.00 - 13.00 / 15.00 - 19.00 (Prenotazione Call center Dròmos.it 333.8856300) Informazioni: www.canusium.it
La mostra, curata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, su ideazione del percorso di Marisa Corrente e realizzazione progettuale dell’Architetto Carmine Robbe, è stata realizzata grazie al sostegno del Comune di Canosa di Puglia e della Fondazione Archeologica Canosina.
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