Il libero esercizio dell'informazione è uno dei diritti primari in una società democratica. Anzi stampa e società sono i cardini della democrazia. Perché l'informazione è un bene sociale.
E il paradigma di chi opera nel mondo dell'informazione o se preferite della comunicazione è uno solo: primum informare: informare nel rispetto della verità sostanziale dei fatti, della verità e della buona fede, come recita la legge istitutiva dell'Ordine dei Giornalisti.
Perché il giornalista è essenzialmente testimone della verità: la verità della gente, le grandi verità importanti e le tante piccole verità della vita e della storia, le tante verità della cronaca, della nostra quotidianità fatta soprattutto di piccole cose ma di grande valore di testimonianza.
Perché, vedete, quella del giornalista è una professione sui generis: egli lavora per il pubblico e non può che sentirsi impegnato a favorire in tutti i modi i titolari autentici del diritto all'informazione. E proprio per questo il giornalista, il cronista soprattutto è più degli altri dentro la storia, non la storia accademica, per carità, ma la storia nel suo farsi quotidiano.
Spesso accade che i fatti di cui è testimone e che racconta agli altri, sono promossi al rango di avvenimento destinato a diventare Storia, questa volta storia con la S maiuscola. Ed è proprio il caso dei fatti che ci vedono qui riuniti stasera: quando il giornalismo si fa storia.
"Raccontare i fatti - scrive Paola Laforgia nella prefazione al dossier presentato dal Gruppo di lavoro Barletta Via Canosa 1959-2009 - è compito dei giornalisti. Contribuire a conservarne la memoria diventa il valore aggiunto".
Ecco, la memoria: quanta memoria da conservare, tutelare e trasmette ha Barletta. memoria della sua millenaria storia, memoria della sua ricchezza artistica e monumentale, memoria del suo paesaggio, memoria dei suoi eroi e delle sue medaglie d'oro al valor militare e civile, memoria dei suoi cittadini illustri, memoria dei fatti della vita e quindi delle vittime innocenti immolate sulla scena dell'ingordigia, del malaffare, della malaedilizia: i 17 morti di via Magenta dell'8 dicembre 1952, le 58 vittime di via Canosa il 16 settembre 1959 e, ancora più recentemente le cinque innocenti donne morte nel crollo di via Roma il 3 ottobre 2011.
Ricordo bene quella mattina del 1959. La mia abitazione era in linea d'aria a un centinaio di metri dal palazzo crollato. Avevo vent'anni circa e mi accingevo a uscire per recarmi allo stabilimento Folonari in via Andria dove, nel periodo della vendemmia, per pagarmi gli studi, ero impegnato alla bascula per pesare l'uva.
C'era ancora un gran polverone, quando giunsi sul luogo del crollo; indugiai per una mezzora circa i preda a una grande emozione; si scavava con le mani in attesa dei mezzi meccanici:il mio pensiero andò subito ai miei amici Sfregola, Michele, mio collega di Università, il fratello Renato, le sorelle. Tutti salvi, si seppe dopo, tranne i genitori, travolti dalle macerie. Dovetti lasciare per il lavoro.
La cronaca dei giorni che seguirono è quella che si è fatta Storia. Storia fatta di tanti racconti, di particolari di quelle vite stroncate, ma Storia fatta anche di denuncia del malaffare che quel crollo determinò; non fu una fatalità. Fu, come la storia processuale ha dimostrato, lo sbocco di una serie di responsabilità di quanti su quella costruzione si preoccuparono di speculare piuttosto che renderla sicura per le famiglie che l'avrebbero abitata.
Ed è questa l'altra missione del giornalismo. I giornalisti che si occuparono di quella vicenda si trovarono al centro di uno scenario imponente e drammatico, al centro di una situazione causata da errori, colpe e crimini veri e propri. Sotto quel cumulo di macerie c'era gente di tutte le età, tante vite spezzate, tanti sogni infranti i un attimo. E seppero fare fronte alla situazione con la razionalità imposta dal mestiere e con il cuore dell'uomo.
Ne ho parlato spesso con i colleghi della Gazzetta del Mezzogiorno quando i fatti della vita mi hanno portato ad abbracciare questa difficile ma affascinante professione. Il loro racconto non aveva mai perso le connotazioni della grande emozione davanti a quei morti e la rabbia per le colpe che ne erano responsabili. Perché una delle difficoltà di questo mestiere è anche la capacità di travasare il diritto-dovere di informare, nel suo sentimento collettivo, cioè nel suo intrinseco valore civico.
Perché fare informazione è anche un problema di natura culturale. E cultura non è soltanto leggere o scrivere, è qualcosa di più ampio. E' quel vasto rapporto antropologico che lega l'uomo agli altri, alla società, all'ambiente in cui vive. Oggi viviamo in una società sempre più complessa che ha messo in crisi istituzioni e valori ritenuti assoluti, una società che continuamente è minacciata da una tecnologia che rischia di soffocare la stessa convivenza umana. Stiamo cioè vivendo una pericolosissima crisi del senso morale, tant'è che diventa sempre più difficile distinguere il bene dal male il lecito dall'illecito.
La cronaca che è sotto i nostri occhi in questi giorni e da alcuni mesi è eloquente di quanto sto dicendo e ci ricorda la necessità di ripristinare quei valori che danno senso umano alla vita. E qui il ruolo dell'informazione è essenziale. Perché alla stampa ha il compito di riferire all'opinione pubblica non solo le verità accertate, ma anche quelle in fieri, a volte coperte, in parte o totalmente dalla diversa disciplina di diversi tipi di segreti esistenti nel nostro paese, da quello istruttorio a quello professionale, a quello militare, a quello bancario, a quello di Stato. E segreti e libertà non sempre, anzi quasi mai, vanno d'accordo.
Paola Laforgia accenna ai giovani, agli studenti che si occupano degli episodi avvenuti nel Novecento in una scuola aperta ai temi di una storia appena alle nostre spalle. E ha ragione, perché con la scuola è possibile giungere a riflettere su ciò che è stato e a tentare la svolta salutare alla quale ho appena accennato.
La Scuola e l'informazione, avendo a che fa re con gli standard etici e psicologici degli individui, possono e devono fare molto per far nascere una società diversa, più matura, più consapevole del proprio ruolo. Consolidare e trasmettere i valori della memoria è doveroso. Altrettanto doveroso è lavorare, tutti, ognuno per le sue possibilità e responsabilità, perché eventi come quelli che questa sera ricordiamo non abbiano più a verificarsi.
E' questo l'impegno che dovrebbe scaturire dal dibattito di questa sera. E' questo il cavallo sul quale si gioca la partita della libertà e della democrazia. Vincere o perdere questa partita dipende da noi.
MICHELE CRISTALLO
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Nella foto del titolo, da sin. Michele Cristallo, Maria Straniero De Mari e Nino Vinella (Esclusiva Mario Dimastromatteo Light and colors)