Il «barba» che fa da logo a «PugliaImperiale» chi è? Federico II, dicono. Ma ciò che un logo sponsorizza è come un sito «web»: vi si accede se «password» e «login» sono corretti. Non lo sono, qui, né l'una (il volto barbato d'un Federico lungocrinito) né l'altro (gli indicatori pubblici e privati della sua personalità: la corona ferrea, mai calzata, e, sul pugno addirittura nudo, il falco). Alla libertà degli artisti, si dice, va concesso l'anacronismo della creatività. Non ad Antonio Molino, autore del dipinto.
Per due ragioni. 1. Egli stesso, su questo giornale nell'aprile 2000 discutendone con chi scrive questa nota, rivendicò una preliminare scrupolosità filologica rifacendosi, per la barba, ai busti di Capua (ma, se barbati sono Pier delle Vigne e Taddeo di Sessa, l'acefalo Federico invece, nella copia eseguita da Séroux d'Angicourt nel XVIII sec., appare imberbe), all'«Exultet» di Salerno (ma si scambia per peluria l'ombreggiatura delle gote), alla testa diademata del museo di Berlino (ma, se non si tratta di Manfredi, proprio la barba ne ha escluso ogni riferimento federiciano), al signore con volatile in pugno nell'affresco rupestre di Matera (ma da un pezzo è attribuito ad ambito protoangioino). Che se, stando all'urbanità di Franco Cardini, una barba penitenziale potrebbe forse supporsi durante il pellegrinaggio crociato, è sfuggito come proprio in quell'occasione un cronista siriano, Assibt, si stupì al vedere l'imperatore con il volto «senza peli».
2. La puntigliosità di Federico in quanto concernesse la sua persona e l'immagine va dall'amputazione dell'amanuense che aveva scritto «Fredericus» per «Fridericus», alla cura del proprio profilo sulle monete «augustales»: «Guardando ripetutamente la recente immagine della nostra maestà - dettava nel 1236 -, essa vi rafforzi nella fedeltà»: e vi appare, come gli imperatori romani, imberbe. Così com'è su tutte le immagini coeve: le miniature curate dal figlio per il «De arte venandi», l'affresco portentoso nel Palazzo Finco a Bassano del Grappa, il celeberrimo torso di Barletta, il cavaliere di Bamberga, i sigilli di Darmstadt e di Monaco, il busto Solari a Capua e quelli di Acerenza e di Milano.
Il falco poi come connotazione del re «sportivo» non è meno futile dello schioppo ad armacollo di Umberto I per tirare agli stambecchi valdostani: laddove per lo Svevo l'esibizione del rapace inculcava la soggezione al potere che colpisce chi e quando vuole il suo detentore assoluto. Bazzoffie da professori? Ebbene, se la rozzezza da furbetti del turismo mangereccio è, alla lunga, suicida, anche lo sarà quello, più esigente e redditizio, della cultura, qualora a chi chiedesse, come in quello, un rombo, si sbolognasse una spigola.
Raffaele Iorio
Fonte:
La Gazzetta del Mezzogiorno Rubrica di Storia 25/03/2006