Un altro viaggiatore di tutto rispetto scende in Puglia verso la fine del 1800. È il tedesco, anzi il prussiano Fernand Gregorovius. Grande studioso di storia romana, giovanissimo aveva scritto un romanzo e poi una tragedia sull'imperatore Tiberio e un'opera storica su Adriano. Grande amore per Roma, dunque. E si trasferì difatti, armi e bagagli, nell'antica capitale dove scrisse la ponderosa «Storia della città di Roma nel Medioevo».
È l'opera che gli darà grande fama per lo studio del diritto municipale della Repubblica romana e di quello monarchico le cui radici affondavano nel tempo mitico dei Cesari. A Roma dimorò per ventidue anni e quando morì a Monaco di Baviera volle che sulla tomba fossero incise le parole «cittadino romano». Grande storico ma anche grande viaggiatore, Fernand Gregorovius. Amò l'incanto del paesaggio italiano, i costumi della sua gente, le città grandi e i piccoli paesi. Viaggiò così a lungo per la nostra penisola, e le annotazioni, le impressioni, i fatti storici saranno raccolti in cinque volumi dal titolo appunto «Viaggio in Italia».
Nei quali non verrà mai meno la sua attenzione alle tradizioni popolari e all'arte pittorica sicché verrà osservato che fu più accorto a recepire, e a descrivere, le atmosfere piuttosto che i documenti che fanno storia. S'innamorò della Puglia, Fernand Gregorovius, soprattutto per ragioni storiche: la nostra terra era stata cara a Federico II e il romantico tedesco, alla maniera del suo grande Goethe, se ne scese con cuore di pellegrino a ritrovare i monumenti e i luoghi e le popolazioni che furono nel cuore, ma anche nell'astio, dell'imperial nipote di Federico Barbarossa. Due volte scese in Puglia: nel 1874 e nell'anno successivo. Le sue impressioni furono raccolte nel bel libro «Nelle Puglie», stampato in Firenze nel 1882. Ed eccolo nel paesaggio della Puglia piana, eccolo nella campagna fra Foggia e Manfredonia , ma eccolo soprattutto nella sua meta sognata: Castel del Monte, la mitica costruzione fatta di storia e magia e leggende e pietre antiche.
Lo storico, dunque, se ne va a cavallo e s'indugia ad ammirare il paesaggio; e s'inebria alla vista delle torri ottagonali: «? le otto torri del castello sorgono fortemente dagli angoli di questo. Quattro di esse contengono piccole stanze esagonali, a volta, ed hanno un diametro di soltanto venti piedi. Nella feritoia d'una di queste trovai tre rosee uova di uccello, più grandi di quelle di una tortora. Giacevano libere sulla nuda pietra, l'uno accanto all'altro e non vi era traccia di nido. Questa scoperta mi diede grande gioia: erano uova di falco. Il rapace che le aveva depositate discendeva indubbiamente in linea diretta da un falco purosangue di Federico II. Chi non ci crede mi dimostri il contrario. Ritornando, prendemmo con noi il nostro tesoro, ma riuscimmo a portare solo un uovo indenne a casa». Fernand Gregorovius,dunque, tornò a casa con un solo uovo di falco e la forte convinzione che di là passavano i falchi così come li vide Federico l'imperatore - ma li vide poi? Le tre rosee uova non impedirono a Gregorovius di ammirare il paesaggio : «?dalle terrazze si gode un incomparabile panorama sul mare e sui paesi; stando qui, si capisce perché il Castello viene chiamato il Belvedere di Puglia. L'intero litorale, dal grandioso massiccio promontorio del Monte Gargano, da Siponto o Manfredonia fino alle sponde di Bari, Monopoli e Brindisi, avvolte in una nube balsamica.
Lo studioso tedesco rimase un solo giorno e non si fermò la notte: e non potè accertare, come narra l'immaginario popolare, che, spesso, nella notte fonda, echeggino pianti sommessi. Sono i lamenti dei nipoti del grande imperatore che qui furono imprigionati, uno addirittura accecato, dai nemici del loro avo. Nel suo breve viaggio fu a Bari e annotò, con stupore e anche con ammirazione, che i nostri avi non esitavano a dare alle loro vie i nomi dei grandi della loro storia: via Melo, via Argiro, piazza Federico di Svevia, via Boemondo, e così via. Quei personaggi erano anche cari a Fernand Gregorovius, ma quanti baresi del passato, del presente, conoscono veramente quei nomi?
Fonte:
La Gazzetta del Mezzogiorno 24/04/2006