18/02/2014. CULTURA O "LA SAGRA DELLA PORCHETTA"?.
Sempre più spesso e non sembri una personale impressione ma una constatazione che scaturisce dalle cronache di ogni giorno, la “Cultura” e la sua diffusione viene affiancata, purtroppo, dalle varie sagre della porchetta o manifestazioni simili.
Senza nulla togliere alle coloratissime e saporite sagre, ci viene da utilizzare un’espressione tipica del buon Antonio Di Pietro: “ma che c'azzecca” la Cultura con la porchetta ?
A qualcuno potrebbe apparire forte la “velata” critica alla “culture & food” ma a chi si indigna vorremmo far presente che la Cultura nel nostro, come in tanti altri Paesi, è così importante da essere parte integrante della Carta costituzionale.
Infatti tutti (o quasi) sanno recitare il primo capoverso della nostra Costituzione e cioè “L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e limiti della Costituzione” però non conoscono nella maniera più assoluta uno dei successivi paragrafi che recita “L'Italia si impegna a conservare, tutelare e valorizzare il Patrimonio culturale e ambientale, nel rispetto delle generazioni passate, presenti e future”.
Ma come tante altre buone intenzioni contenute nella nostra Carta, la Cultura è ridotta così male perché da quasi quarant’anni, in pratica da quando esistono a Roma un Ministero e nelle città un assessorato espressamente dedicati, la cultura è progressivamente scomparsa dalla vita quotidiana ed è stata confinata ai margini della società (per non parlare della scuola dove è vissuta dagli studenti in maniera ostativa, rientrando nella sfera dell’obbligo) o dietro di essa, nei musei, luoghi della memoria e del passato, nonostante i tentativi tardivi e il più delle volte osteggiati di modernizzarli, utilizzando, in maniera il più delle volte amorfa, sbagliata o fuorviante, le nuove tecnologie della comunicazione.
È ridotta come una comprimaria perché essendo un riempitivo della vita quotidiana non è considerata una priorità dalla politica, che anzi, soprattutto a livello regionale e ancor di più nei Comuni, la utilizza come strumento di distrazione dai problemi economici e sociali che riguardano per l’appunto la vita quotidiana o, ancor peggio, come leva di propaganda, funzionale alla costruzione di una solida immagine e reputazione, perché, si sa, basta riempirsi la bocca con la parola cultura che si diventa immediatamente uomini di cultura.
È ridotta così male perché in maniera diffusa, cittadini, istituzioni e addetti ai lavori, se ne ha una considerazione erronea sotto molti profili. In tanti farciscono i loro discorsi colti con il famoso 77% dei beni culturali mondiali posseduti dal nostro Paese citando l’adagio “Capitale mondiale dei beni culturali”, pensando che questo basti a sostenere l’industria turistica e culturale ma nessuno ha lo stomaco di esporre come il patrimonio culturale è ridotto a brandelli (leggi Canne della Battaglia) o valorizzato con idee e mezzi paragonabili al più squallido bookshop Cantina della Disfida.
Eppure, per quanta retorica passa da questo argomento, ci si aspetterebbe per lo meno l’ombra di un’idea da parte di chi (Assessori, Dirigenti e Funzionari) ha in mano questo tesoro incommensurabile.
Qualche timido tentativo lo si sta facendo proprio in questi giorni con il programma delle manifestazioni per la Disfida di Barletta e tra queste sono da segnalare gli incontri multidisciplinari, con la partecipazione di ospiti del mondo della cultura, del giornalismo e dello sport che si svolgeranno nel Castello, nei cui sotterranei è stata organizzata la "Maratona di lettura" dedicata all'Ettore Fieramosca di Massimo D'Azeglio e nella giornata conclusiva ritorna nella nostra Città, dopo otto anni, l'appuntamento della "Penisola del Tesoro", evento organizzato dal Touring Club Italiano che prevede visite guidate nei luoghi più rappresentativi della città.
E’ chiaro ad una prima lettura che queste “pallide” iniziative non hanno la nobiltà d’esser considerate svolte epocali ma, questo si, lanciano un flebile segnale di risveglio culturale della nostra Città.
Al contrario, con il dovuto rispetto a persone che si prendono la briga di scrivere pagine e paragrafi di mirabolanti proposte, appare evidente di come non possa essere considerata un’offerta ragionevole o futuribile quella di considerare una mostra come la mercificazione delle opere d’arte ed al complementare sfruttamento della diffusa esigenza di cultura, testimoniata dalle persone disposte a stare in fila per ore per vedere mostre o assistere ad eventi opportunamente pubblicizzati dai media.
Negli ultimi 20 anni la cultura è stata considerata solo ed esclusivamente una leva utile ad alimentare il turismo, quello sì improvvisamente divenuto un settore da tutti ritenuto strategico. E quindi grandi mostre e grandi eventi, magari anche super musei (leggi idea polo museale nel Castello), tutto e sempre con funzione di “attrattori turistici” (e qui ritorna prepotente la sagra della porchetta!).
Ma la cultura è un bene che deve servire in primo luogo alla cittadinanza, deve generare un valore finalizzato ad accrescere il capitale culturale (e non il peso corporeo), che non è fatto solo di beni materiali, ma anche e forse soprattutto, immateriali, buona parte dei quali si condensa nella testa, nella memoria, nella capacità dei cittadini.
Quanti più cittadini leggono, suonano, dipingono, visitano musei, scrivono, ascoltano musica, tanto più alto è il patrimonio di una città. Se si pensa invece prima a coloro che non abitano la città, il risultato inevitabile è un paese povero, economicamente, eticamente, socialmente.
Chi pensa di gestire la Cultura, inoltre, non tiene conto, sbagliando in maniera clamorosa, che la composizione e il profilo degli addetti ai settori culturali è cambiata e oggi comprende i beni culturali e le attività ad esse legate; lo spettacolo dal vivo; le industrie dei contenuti (editoria, tv, cinema, comunicazione); le culture materiali (moda, abbigliamento, enogastronomia), ma il ministero e gli assessorati competenti continuano ad interloquire solo con la platea tradizionale, fatta di associazioni, fondazioni, musei e teatri.
Per non ricordare inoltre che si continua a non curare le periferie, includendo in queste non solo quelle urbane e metropolitane, ma anche e soprattutto, quelle rurali o tutte quelle aree che insistono in territori e regioni ritenute secondarie.
Ma, come dimostrano i cambiamenti in atto, la loro vera forza propulsiva deriva da due elementi: l’orgoglio e la rivendicazione culturale e la valorizzazione delle aree periferiche, luoghi piccoli e lontani che diventano motore del cambiamento.
La sempre più marcata separazione tra le esigenze di un onesto e proficuo lavoro sulle possibilità che si offrono a chi voglia veramente difendere i beni culturali e l’indifferenza della politica a ciò che ci rende unici nel mondo, diventa oggetto di esperimenti, di proposte che passano sotto silenzio proprio perché non in sintonia con quel mercato che da cittadini ci rende turisti.
Se si legge la lista di amministratori (Ministri, Assessori e Dirigenti vari ed eventuali) che hanno retto il settore Cultura in questi ultimi anni, non c’è alcun bisogno di domandarci come mai l’Italia tratti in questo modo la più nobile tra le sue risorse. Si sta discutendo ovviamente su scelte sempre più disastrose compiute verso i beni culturali e paesaggistici.
Bene ecco cosa ci si prospetta: il più che famoso ed apprezzato “Colazione in Giardino” dell’amatissimo (dagli altri!) Giuseppe De Nittis posto in mostra alla frequentata e redditizia sagra della porchetta. Come argomento siamo li ma che enorme differenza di livello culturale.
Sic transit gloria mundi !
Michele Grimaldi
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